L’univocità di direzione degli atti rappresenta l’ulteriore requisito limitativo, con la funzione di assicurare il concreto pericolo di realizzazione del delitto e, quindi, di riportare il tentativo punibile entro ragionevoli limiti.
Dell’univocità, tuttavia, devono essere respinte due concezioni, tendenti a vanificare tale funzione:
- la concezione soggettiva, secondo la quale l’univocità starebbe ad indicare non un elemento costitutivo-limitativo, ma una semplice esigenza processuale probatoria.
Tale tesi, infatti, elimina il tentativo punibile, dal momento che la quasi totalità degli atti sono in genere plurioffensivi e pluridirezionali, poiché possono essere fortemente sintomatici di una generica intenzione delittuosa, ma non esclusivamente idonei ed univocamente diretti a commettere un determinato delitto.
- la concezione oggettiva, secondo la quale l’univocità costituirebbe un requisito oggettivo e, quindi, ulteriormente limitativo del tentativo, in quanto starebbe a significare:
- (secondo la tesi dell’univocità assoluta) che gli atti devono rilevare, in sé e per sé considerati, la loro direzione finalistica verso lo specifico reato.
- (secondo la tesi dell’univocità relativa) che gli atti devono rilevare, in rapporto al piano criminoso previamente individuato in base a tutte le risultanze probatorie, la loro direzione finalistica allo specifico reato voluto.
Tale tesi, infatti, dilata incontenibilmente il tentativo punibile, dal momento che la quasi totalità degli atti, anche quelli meramente iniziati e preparatori, se rapportati al piano criminoso dell’agente, finiscono per apparire praticamente sempre univoci.
Discostandosi dalle correnti interpretative sopra definite, quindi, occorre ritenere, al contrario, che gli atti idonei sono altresì diretti in modo non equivoco a commettere un delitto quando, per il grado di sviluppo raggiunto, lasciano prevedere come verosimile la realizzazione del delitto voluto. Univocità di direzione degli atti, quindi, significa attitudine degli stessi a fondare un giudizio probabilistico sulla realizzazione del delitto perfetto e sulla verosimile intenzione dell’agente a portare a termine il proposito criminoso.
Occorre chiedersi, tuttavia, in quali casi possa dirsi che gli atti idonei abbiano raggiunto un grado di sviluppo sufficiente a fondare siffatto giudizio di probabile realizzazione del delitto perfetto:
- il massimo grado di probabilità di successo del piano si ha nel tentativo compiuto, avendo il soggetto posto in essere l’intera condotta.
- un grado intermedio di probabilità si ha quando il soggetto ha soltanto iniziato l’azione tipica, ma nulla esisteva a quel momento che facesse verosimilmente pensare che il delitto non sarebbe stato portato a termine dall’agente.
- un grado minimo di probabilità, ma ancora sufficiente a configurare un tentativo punibile, può aversi anche quando il soggetto ha posto in essere soltanto atti pretipici, che cioè precedono l’inizio della condotta tipica.
Nella logica di un diritto penale dell’offesa, per stabilire se trattasi di atti pretipici, ma pur sempre univoci, punto di riferimento pur sempre approssimativo resta il pericolo attuale di realizzazione del delitto, da accertarsi caso per caso in rapporto al concreto piano dell’agente. Il pericolo, in particolare, può considerarsi insorto e, quindi, gli atti sono univoci, nel momento in cui il soggetto, pur non avendo iniziato l’azione tipica:
- si accinge ad iniziarla, in base alla sua progettazione del fatto (es. portare al confine la merce da contrabbandare).
- si accinge ad accedere nello specifico luogo nell’imminente delitto (es. rapinatori che scendono dalla macchina innanzi alla banca).
- pone in essere l’agguato, che può costituire tentativo punibile se è teso nell’imminenza del verosimile passaggio accertato della vittima (es. furgone portavalori della banca)
- ha provveduto (o sta provvedendo) ad eliminare i mezzi di difesa o a superare gli ostacoli materiali, specie se nell’immediatezza o imminenza della commissione del delitto (es. ladro che scavalca il muro di cinta).