Secondo la teoria della causalità scientifica, l’azione è causa di un evento quando, secondo la migliore scienza ed esperienza del momento storico, l’evento è conseguenza certa o altamente probabile dell’azione, nel senso che l’evento non si sarebbe verificato con certezza o elevata probabilità se il soggetto si fosse astenuto all’azione.
Per una migliore comprensione di tale teoria sono opportune alcune premesse:
- la causalità si presenta come un problema di conoscenza.
- la Scienza causale è una categoria dinamica, poiché la causalità è storicamente soggetta a continue evoluzione ed ampliamenti in corrispondenza dei continui progressi della scienza.
- per stabilire, allo stato della conoscenza umana, ciò che è e ciò che non è causa di un evento, è indispensabile fare riferimento alla scienza e all’esperienza umana del momento storico nella specifica materia.
- la causalità non può che essere un concetto oggettivo, sì da presentarsi eguale per tutti i soggetti, a prescindere dalla diversità di intelligenza, cultura e scienza e dalla differente capacità di previsione dei singoli individui agenti.
Detto questo, la causalità scientifica per essere tale esige i seguenti requisiti:
- esige che il grado di conoscenza umana, per stabilire quando un evento sia, scientificamente, conseguenza dell’azione, debba essere esclusivamente quello della migliore scienza ed esperienza del momento storico. Corollario di tale criterio è l’utilizzazione imprescindibile delle leggi scientifiche aventi validità generale, col triplice vantaggio:
- di obiettivizzare la causalità distinguendola dalla colpa.
- di recuperare una maggiore certezza giuridica anche nel campo casuale.
- di ridurre il libero apprezzamento del giudice, fondato sul metodo individualizzato.
- esige che il grado di successione tra azione ed evento sia non quello della certezza (troppo ristretto), né quelle della probabilità (troppo largo), bensì quello della probabilità relativa, quale elevato grado di possibilità. Corollario del criterio probabilistico è l’utilizzazione:
- delle leggi universali, che esprimono una regolarità di successioni dei fenomeni, non smentita da eccezioni (es. legge di gravità).
- delle leggi statistiche, che esprimono successioni di fenomeni soltanto in una certa percentuale, e questo a causa del subentrare di fattori ignoti.
- esige che, data l’insufficienza delle leggi delle scienze naturali, siano utilizzati anche:
- il sapere probabilistico, non sorretto da irripetibili leggi, ma pur sempre scientifico e, quindi, attendibile, perché razionalmente fondato.
- le leggi o le conoscenze delle scienze giuridico-psicologico-sociali, nei limiti in cui esse siano in grado di spiegare l’evento concreto in termini, se non di certezza, almeno di probabilità statistica.
- le massime di esperienza, ossia le esperienze generalizzate.
- esige che il caso concreto sia risolto col metodo scientifico, ossia con la sussunzione dello stesso sotto il sapere scientifico.
- esige che il grado reale di probabilità della condotta-evento debba essere verificato rispetto all’insieme delle circostanze del caso concreto, che, potendo accrescere o diminuire il grado di probabilità statistico-astratta, portano a determinare il grado di probabilità logico-concreta. Perché l’azione sia causa nei termini sopracitati, pertanto, occorre:
- che l’azione sia condizione certa o, almeno, probabile, da cui si ricava che l’azione, se non è condizione, non è neppure causa dell’evento.
- che l’evento non si presenti come conseguenza altamente improbabile della stesso, ossia come eccezione. Tale eccezionalità può dipendere dal concorso di fattori sopravvenuti o preesistenti rispetto alla condotta, i quali abbiano reso possibile il verificarsi di un evento che non presentava alcuna probabilità.
- esige che il controllo dell’azione come condizione, certo o probabile, sia effettuato:
- ex post, con cognizione del come si sono succeduti i fenomeni.
- tramite il procedimento di eliminazione mentale (giudizio contro fattuale), per cui, eliminata mentalmente la condotta, viene meno anche l’evento, con certezza o con alta probabilità scientifiche.
Il vero problema della causalità probabilistica, ineludibile in quanto connaturato alla sua stessa scienza, è il minimum di probabilità, necessario e sufficiente, perché la condotta umana possa dirsi causa dell’evento. Accanto ad autori che richiedono una probabilità confinante con la certezza, altri ritengono sufficiente la capacità della legge probabilistica di spiegare il maggior numero di casi. La giurisprudenza, tuttavia, evitando tali eccessi, si è andata assestando sulla posizione intermedia dell’elevato grado di probabilità non solo statistico-astratta, ma logico-concreta, nel senso che, eliminando l’azione e l’interferenza di fattori causali alternativi, l’evento, con un elevato grado di probabilità razionale, non avrebbe avuto luogo.
Circa poi l’accertamento processuale della causalità, vale il duplice principio:
- del libero convincimento (art. 192 c.p.p.), nel senso che, in ultima analisi, spetta valutare se l’evento sia o meno conseguenza certa o altamente probabile dell’azione.
- dell’indubio pro reo, per cui in caso di insuperabile dubbio oggettivo, sulla base dei dati disponibili, valgono le comuni regole della prova dubbia (art. 530 c.p.p.).
Se per l’esistenza della causalità è sufficiente un’elevata probabilità della condotta-evento, tuttavia, per la prova occorre la raggiunta certezza processuale dell’esistenza di tale grado probabilistico, pur con le inevitabili incidenza del probabilismo su entrambi i piani. Tali inevitabili settori grigi, in particolare, altro non sono che la conseguenza delle attuali e insuperabili incertezze della scienza giuridica.