Prima della riforma del 59, tra responsabilità colpevole per gli elementi essenziali e responsabilità oggettiva per le aggravanti (responsabilità comunque fondata sul fato semplice della loro esistenza per le attenuanti), il solco era profondo. Oggi si dovrà parlare di differenza tra il criterio presiedente all’addebito del fatto di reato e i criteri alla cui stregua si applicano le circostanze (aggravanti o attenuanti). La diversità delle tecniche di imputazione non è venuta però meno e la diversità di disciplina ora non si esaurisce solo nei modi-forme dell’addebito, esplicandosi invece in molte direzioni, che vanno dalla determinazione del momento da cui comincia a decorrere il tempo trascorso il quale l’illecito penale si prescrive (158) a quella vistosa che conduce, col bilanciamento tra circostanze eterogenee, alla eliminazione della o delle circostanze di un certo tipo e perfino alla eliminazione, sempre agli effetti della pena, di ogni circostanza dell’area della res judicanda.

C’è una premessa al discorso (di teoria generale). L’interprete si troverebbe in presenza di casi dubbi (cioè casi in cui non si sa se una certa fattispecie criminosa si inquadra come figura autonoma o come figura circostanziata) quando 2 fattispecie presentano un fondo comune penalmente rilevante di elementi costitutivi e oltre ciò un plus che diversifichi l’eventuale forma circostanziata dall’eventuale ipotesi base. In questo modo si limiterebbe il campo d’indagine fissando la condizione necessaria perchè si parli di circostanze del reato. Ora però questo modo di accostarsi al problema non supera i limiti di una suggestione lessicale valida per il maggior numero dei casi ma che non trova rispondenza nella disciplina positiva (si trasferisce in pratica una questione di diritt positivo su un piano di teoria generale). Se allora si dice che tra figura circostanziale e figura base di reato non si dà sempre specialità in astratto, è perché non possiamo non tener conto delle ipotesi (figure circostanziali) la cui circostanza si sostituisce a uno degli elementi costituenti il reato base (esempio: 582 1°: “Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo e nella mente, è punito con la reclusione da 3 mesi a 3 anni”. Ex 583 1° risulta aggravata la condotta di chi cagioni una lesione da cui deriva un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai 40 giorni. È chiaro che l’evento “malattia” è equiparato quello consistente l’impossibilità di svolgere da un certo momento le proprie occupazioni. Questo dato quindi muta le componenti di un fatto base, ma è comunque una aggravante e che in un caso del genere non ricorre specialità in astratto. Il legislatore allora quando definisce circostanze certi elementi pensa per Gallo al fatto che ciò si trascina dietro ogni conseguenza giuridica che fatti/situazioni così qualificati comportano.

Abbiamo quindi detto che la risposta di teoria generale è inidonea ad offrire una risposta alla domanda che ci siamo posti. Bisogna però considerare che la soluzione di teoria generale può fornire la chiave per aprire la porta alla soluzione di un problema che si pone entro i confini di un certo diritto (nel caso nostro quello italiano). Si dovrà quindi verificare se prescindendo dall’ambizione di collocarsi su un piano superiore a quello di un individuo ordinamento normativo, le idee avanzate possano condurci a chiarirci come stanno le cose nel nostro sistema a proposito della differenza tra reato base e reato circostanziato. A ciò si è tentato di dar risposta partendo da 2 piani distinti:

Piano della funzione (si è ricorso al concetto di bene giuridico, per cui ogni norma penale tutela un interesse, quindi la presenza di una circostanza non fa mutare la natura dell’interesse protetto caratterizzante la particolare figura criminosa. Dal momento che 2 proposizioni normative si presentano in rapporto di specialità in astratto, si concluderà che siamo di fronte a disposizioni contemplanti rispettivamente forma semplice e forma aggravata/attenuata dello stesso reato. In sede esegetica è difficile comprendere quale sia il conto di un simile criterio. ) e non è questa la sede dove ripercorrere però lo svolgimento dottrinale del bene giuridico; basta ricordare che tra tutte le teoriche enunciate in proposito quella più convincente è quella secondo cui l’oggettività giuridica specifica delle singole figure criminose si individua richiamando ognuno degli elementi di cui esse si compongono. La proposizione: il tale interesse è tutelato, assume senso solo prendendo come riferimento la norma penale. Quindi la norma ci fornisce un solo criterio per accertare quando una tale tutela sussista veramente: cioè la reazione verso l’illecito. Dato che ogni norma deve proteggere un bene-interesse, materiale o ideale, quindi non si può concepire l’assurdità di una norma che manchi al suo scopo già come ipotesi astratta quindi il diritto riterrà leso l’interesse protetto solo quando dalla norma incriminatrice possa ricavarsi una sanzione giuridica (quindi oggi l elemento necessario a produrre una sanzione (cioè che si aggiunge o si innesta in una fattispecie modificante le conseguenze giuridiche rispetto a quelle ad essa tipiche, come le circostanze in senso tecnico) concorre alla descrizione dell’interesse stesso.

Piano della struttura logica della norma. Operando con affermazione e presupposti tipici della concezione imperativistica del diritto si assume che dato che una norma giuridica si può costituire combinando un precetto solo con una o più sanzioni (allorchè ci si trovi di fronte a diversità di sanzioni), in questo caso ciò che decide l’unità o pluralità delle norme è “ciò che viene comandato”: cioè il precetto. Ora il criterio che riporta gli elementi costitutivi al precetto e quelli accessori alla sanzione deve considerarsi anche in maniera più importante, come una regola che serva da guida all’interprete quindi una formula riassuntiva con cui si sistemano gli elementi di cui era già stata accertata l’essenzialità. Ora prima della l. 19 si sarebbe potuto dire che presupponendo l’imperativo un movimento da volontà a volontà, ogni elemento che non richiede per la sua efficacia giuridica un intervento della volontà del soggetto agente, non farebbe parte dell’imperativo primario, aderendo allora alla sanzione. Ma con la novella ex 59 2° che ha reso applicabili le aggravanti solo se conosciute o conoscibili ciò non vale più: ad oggi per le aggravanti non è più possibile distinguere tra elementi circostanziali da quelli costitutivi della figura base di un reato a seconda che sia oppure no rilevante la volontà colpevole. Nel quadro della regolamentazione attuale questa teorica non ci dà neppure il mezzo per un’efficace sistemazione esegetico-dommatica, quando si stabilisce che una certa situazione o un certo fatto giuridico siano essenziali ovvero circostanziali.

 Dato che tra l’una e l’altra categoria di elementi non esiste differenza d’ordine sostanziale siamo lontani dall’indagine che vuole fare l’interprete. Chiaramente dato che la norma giuridica stabilisce un nesso tra certe situazioni e certe conseguenze, ogni modificazione di queste ultime presuppone la modificazione delle prime: si crea in pratica una nuova norma.

Occorre allora trovare nella legge i segni, espressioni della volontà legislativa, i parametri da cui si desuma se siamo davanti a una figura criminosa o figura circostanziata. Le indagini della dottrina permettono di ritenere che dei criteri: tradizione, modo di determinare pena o fattispecie, collocazione della disposizione, nomen juris dell’illecito possono giovare, tuttavia si possono ammettere delle eccezioni così larghe da infirmarne molto il valore. Come ultima analisi, molto rimane affidato al buon senso e all’acume dell’interprete. Occorre considerare che l’equivocità della legge è solo apparente, quindi l’interprete non è privo di direttive. La situazione qui prefigurata è simile a quella di chi è chiamato a regolare una situazione di fatto non prevista espressamente dal legislatore. La differenza sarà quantitativa: qui abbiamo una mancanza di formazioni, lì una normazione insufficiente (cioè che non dice tutto ciò che dovrebbe dire sull’ipotesi contemplata). Nella legge ci può essere anche una norma ci sia ma non descriva esaurientemente la regolamentazione del fatto, a cui non si saprà se collegare o meno certe conseguenze giuridiche (sostanziali o processuali). Nel diritto penale e nelle leggi eccezionali è esclusa l’estensione analogica: quindi l’assenza di norma espressa è formale e sostanziale, in quanto non si può applicare la regola che imponendo l’operazione analogica permette di costruire accanto alla norma espressa, una seconda norma presentante le stesse conseguenze della prima, prodotte da una fattispecie simile a quella della norma espressa. L’analogia sarà impossibile anche per chi la ritiene ammissibile in diritto penale se si risolva in favor rei (favor rei esige che risulti sempre di maggior giovamento per il colpevole ritenere che un certo elemento sia costitutivo essenziale o circostanziale). per gallo non è così perchè a seconda delle diverse conseguenze giuridiche si dovrà rispondere nell’uno o nell’altro senso dell’alternativa. Agli effetti ad esempio della determinazione dell’oggetto del dolo, è più favorevole la soluzione in chiave di elemento essenziale,anche se per tal via si richiede che l’elemento di discussione sia rappresentato.

Tirando le somme, il ricorso all’analogia (se si risolve in favor rei) porterebbe a concludere che un certo elemento possa essere volta per volta diversamente qualificato a seconda dei diversi momenti di applicazione della norma e ciò sembra poco accettabile. Il ricorso al sistema si appalesa invece non solo meno problematico ma specialmente inevitabile per l’interprete. L’ordinamento nel suo insieme non è muto davanti a silenzi della legge superabili in forza di una visione globale.

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