È colpevole un soggetto imputabile, il quale abbia realizzato con dolo o colpa la fattispecie obiettiva di un reato, in assenza di circostanze tali da rendere necessitata l’azione illecita. I presupposti della colpevolezza sono:

  • Imputabilità
  • Dolo o colpa
  • Conoscibilità del divieto penale
  • Assenza di cause di esclusione della colpevolezza

Il dolo e la colpa sono pacificamente riconosciuti come fondamentali criteri soggettivi di imputazione penale, così come la categoria delle cause di esclusione della colpevolezza.

Invece sono sorte questioni circa la collocazione sistematica dell’imputabilità (capacità di intendere e di volere) all’interno del reato.

Nell’area penalistica italiana, ha dominato la tesi secondo la quale l’imputabilità costituirebbe una qualificazione soggettiva, estranea alla teoria del reato e rientrante nella teoria del reo. Antolisei: l’imputabilità rappresenterebbe un modo d’essere, uno status della persona necessario perché l’autore sia assoggettabile a pena; la mancanza di imputabilità opererebbe solo come causa personale di esenzione da pena.

Tale impostazione teorica fa leva su alcune norme del c.p. (artt. 222 e 224) che ricollegano i minimi di durata delle misure di sicurezza dell’ospedale psichiatrico giudiziario e del riformatorio giudiziario, alla gravità dei reati commessi, e contengono un implicito riferimento all’intensità del dolo e al grado della colpa. Ne deriva allora che secondo il legislatore il dolo e la colpa sono anche riferibili ai non imputabili.

Se ne deduce che l’imputabilità non può essere considerata un presupposto della colpevolezza ma solo uno stato soggettivo che decide dell’assoggettabilità alla pena in senso stretto. Una simile impostazione è ovviamente riduttiva e pecca di formalismo in quanto perde di vista la relazione intima che intercorre tra imputabilità e illecito penale.

Secondo una parte della dottrina italiana più recente, va recuperata la diversa prospettiva di fondo che riconduce l’imputabilità all’alveo concettuale della colpevolezza e in tale prospettiva è proprio la colpevolezza che consente di muovere un rimprovero all’autore del reato. Un rimprovero ha tanto senso in quanto il destinatario è in grado di discernere il lecito dall’illecito e conformarsi alle aspettative dell’ordinamento giuridico.

All’interno di tale impostazione non si contesta che il nostro sistema penale riferisce il dolo e la colpa anche alla condotta degli incapaci di intendere e di volere, ma il dolo e la colpa non esauriscono il concetto di colpevolezza in senso normativo, che richiede ulteriori elementi nella prospettiva del rimprovero.

Inoltre il dolo e la colpa del soggetto non imputabile on possono coincidere col dolo o la colpa del soggetto capace di intendere e di volere; è da considerare che essi sono meri stati psichici: il dolo come volontarietà psichica del fatto nella sua materialità, non può non ricomprendere la consapevolezza del significato offensivo, inoltre l’errore di fatto condizionato dalla malattia mentale può non escludere la pericolosità del soggetto non imputabile e quindi può sempre comportare l’applicabilità di una misura di sicurezza.

Quanto alla colpa del non imputabile, nella stragrande maggioranza dei casi consiste nella violazione di una semplice misura oggettiva di diligenza, ma sarà fuori discussione un rimprovero da muovere sulla base di una misura soggettiva e personalizzata.

 

Imputabilità e “coscienza e volontà” dell’azione

L’imputabilità si distingue dalla coscienza e volontà dell’azione di cui all’art. 42 comma 1° in quanto queste ultime costituiscono condizioni dell’attribuibilità psichica di una singola azione od omissione al suo autore; mentre l’imputabilità, come capacità di intendere e di volere, rispecchia una qualità personale dell’autore che permette di qualificare colpevole un comportamento già ascrivibile a lui come cosciente e volontario.

 

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