Ovviamente è esclusa la potestà legislativa penale dell’Ue, la quale però è legittimata a prevedere e irrogare sanzioni amministrative. L’Ue si pone come obiettivo una tutela penale mediata degli interessi comunitari, cioè si preoccupa che questi ricevano una protezione anche a mezzo del diritto penale interno.
Le tecniche utilizzabili sono:
Assimilazione degli interessi comunitari agli interessi statali, mediante estensione ai primi delle forme di tutela previsti per i secondi. (es. artt. 316 bis e 640 bis c.p. che parificano la rispettiva tutela penale delle risorse statali e di quelle comunitarie).
Armonizzazione delle legislazioni penali nazionali, realizzabile predisponendo modelli di incriminazione tendenzialmente simili, onde consentire alle autorità competenti una + efficace persecuzione dei reati nello spazio europeo.
Unificazione delle discipline penali nazionale, ovvero predisponendo una normativa penale comune.
L’Ue allo scopo di promuovere l’armonizzazione penale, ha introdotto un terzo pilastro (cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale). Tale pilastro può avvalersi di strumenti quali azioni comuni (decisioni quadro, le quali però sono prive di efficacia diretta). Con l’introduzione del terzo pilastro si sono introdotte diverse innovazioni, tra cui una semplificazione del sistema delle fonti mediante la previsione delle sole leggi europee ( self executing) e delle leggi quadro europee (efficacia delle direttive). Quindi, sembra ricavarsi dalle nuove norme, la competenza delle leggi quadro europee a determinare i criteri per il ravvicinamento delle legislazioni nazionale, la competenza delle leggi europee a istituire una procura europea e a definire i reati da questa perseguibili.
Nei rapporti tra legge nazionale e comunitaria vale il principio del primato del diritto comunitario sul diritto nazionale, per cui la legge comunitaria è destinata a prevalere su quella nazionale in contrasto. Con un’importante sentenza la Corte di Giustizia CE ha sancito l’obbligo del giudice di applicare le disposizioni comunitarie anche disapplicando, all’occorrenza di propria iniziativa, qualunque disposizione nazionale contrastante, anche posteriore, senza dover attendere la rimozione della stessa per via legislativa o il sindacato della Corte Costituzionale. Il primato del diritto comunitario riguarda, però, solo i regolamenti e le direttive aventi efficacia diretta.
Le forme di interazione tra norma comunitarie e diritto penale interne possono essere di 3 tipi:
Conflitto totale o parziale tra norma comunitarie e legge penale italiana.
Se il giudice interno è in dubbio sull’interpretazione della norma comunitaria può, e in alcuni casi deve (se si tratta di ultimo grado di giudizio), ex art. 234 CE ricorrere ad un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia CE cui spetta il monopolio sull’interpretazione del diritto comunitario. Se il conflitto si manifesta in modo evidente e la norma comunitarie è self. executing, il giudice dovrà disapplicare la norma penale italiana e applicare quella comunitaria. (es. limiti previsti dalla direttiva sul livello di pressione degli impianti, e limiti previsti dalla legge nazionale) pag 64. L’effetto della prevalenza della disposizione comunitaria è di tipo limitativo o restrittivo del diritto penale.
Interazione di tipo specificativo- integrativo.
Nel senso che la norma comunitaria può concorrere a delineare i presupposti di applicazione di fattispecie incriminatrici interne, specificandone o integrandone gli elementi costitutivi. Ovviamente deve essere precisato in che forme e limiti ciò sia possibile. Deve essere sempre la legge statale a definire gli elementi essenziali della figura di reato. Ad es. è ammissibile che un regolamento comunitario specifichi, dal punto di vista tecnico, elementi di fattispecie già definiti nel nucleo significativo essenziale, dal legislatore nazionale, mentre è + controvertibile l’ipotesi in cui la norma comunitaria, si presti a integrare elementi normativi della fattispecie incriminatrice (es. norma che introduca una nuova regola cautelare idonea a integrare il concetto di colpa ex art. 43).
Sono previsti obblighi comunitari di tutela penale a carico degli Stati membri, ma si è discusso sulla compatibilità di tali obblighi con il principio di riserva di legge.
Ammettendo che una fonte normativa europea sia legittimata a imporre ad uno Stato membro l’adozione di sanzioni penali per la tutela di un certo bene o interesse comunitario , risulterebbe vanificata la garanzia democratica del processo genetico delle norme penali; al Parlamento verrebbe sottratto di fatto il potere di valutare autonomamente i presupposti politico- criminali che rendono necessario il ricorso alla tutela penale. Pur conservando la competenza a scegliere il tipo di sanzioni, gli Stati devono vigilare a che le violazioni del diritto europeo siano colpite con sanzioni interne avente carattere di effettività proporzionalità e capacità dissuasiva. Quindi, in linea di principio non sussiste nessuno obbligo di tutela penale in senso stretto, però l’opzione penalistica si pone in via mediata, quale riflesso del dovere di adottare la tecnica di tutela più adeguata.
Giurisprudenza della Corte di Giustizia CE
La pronuncia più recente afferma la competenza della normativa comunitaria a imporre agli Stati l’obbligo di prevedere sanzioni penali finalizzate alla tutela di un bene comunitariamente rilevante. Tale obbligo va imposto con lo strumento della direttiva. La Corte non si è limitata a ribadire che gli ordinamenti nazionali hanno l’obbligo di predisporre, a tutela degli interessi comunitari, sanzioni adeguate, ma si è spinta fino ad esigere l’adozione di sanzioni penali in senso stretto.
Sentenza Niselli del 2004 riguardava l’interpretazione del concetto di rifiuto nell’ambito della fattispecie incriminatrice prevista dall’art 51 de decreto Ronchi. Il problema nasceva dal fatto che il decreto (come modificato) forniva una definizione contrastante con quelle comunitaria e aveva l’effetto di restringere l’area della punibilità. La Corte ha ravvisato il contrasto tra le due norme, ma si è astenuta dal chiarire se il giudice italiano fosse obbligato a disapplicare la successiva norma modificativa, difforme dallo standard comunitario, ed applicare invece, la norma incriminatrice sussistente al momento del fatto.
La sentenza del 2005 Berlusconi e altri. La questione riguardava la riforma dei reati societari e in particolare la nuova disciplina del reato di falso in bilancio, la quale suscettibile di essere considerata troppo restrittiva dell’area di punibilità alla stregua delle direttive comunitarie. Perciò sarebbe comunitariamente illegittima per carenza di efficacia preventivo- repressivo. La Corte ha però respinto le questioni sollevate sulla fondatezza della prevalenza accordata al principio del favor rei.
Sentenza Pupino 2005 la Corte ha affermato il principio secondo cui l’obbligo di interpretazione giudiziale conforme, deve valere anche riguardo gli atti del terzo pilastro quali le decisioni quadro, oltre che in rapporto alle norme comunitarie in senso stretto.