L’art. 49 comma 2° stabilisce che la punibilità è esclusa “ quando, per la inidoneità dell’azione o per la inesistenza dell’oggetto di essa, è impossibile l’evento dannoso o pericoloso”; l’ultimo comma aggiunge che “il giudice può ordinare che l’imputato prosciolto sia sottoposto a misura di sicurezza”.

Il reato impossibile è quindi il tentativo impossibile, ed invero, anche in mancanza di una norma come quella in esame, l’inidoneità dell’azione o l’inesistenza dell’oggetto materiale avrebbero giustificato l’impunità alla stregua degli stessi principi regolativi del delitto tentato.

Concezione realistica dell’illecito penale

Alcuni autori ritengono di poter desumere dall’art. 49 un principio non limitato al campo del tentativo, ma estendibile all’intero sistema penale: si tratterebbe, addirittura, del principio generale che funge da criterio ispiratore della concezione per la quale non può esservi reato, senza una lesione o una messa in pericolo effettiva del bene.

La rilevanza pratica del principio di necessaria lesività emergerebbe, nei casi di mancata corrispondenza tra tipicità e offesa al bene protetto; di fronte cioè a condotte formalmente conformi alla fattispecie incriminatrice, ma di fatto innocue perché assolutamente incapaci di ledere l’interesse protetto, il ricorso al 2° comma art. 49, legittimerebbe quella valutazione realistica che porta ad escludere l’esistenza del reato, e dunque, la punibilità del fatto. La tesi pretenderebbe di poggiare su sostegni di ordine esegetico; l’art. 49 comma 2°, non rappresenterebbe il semplice aspetto negativo o rovescio dell’art. 56 comma 1°, ma si caratterizzerebbe per la presenza di elementi autonomi. E si argomenta:

  • l’idoneità di cui all’art. 49 comma 2°, non è riferita, come nell’art. 56, agli atti, bensì all’azione
  • non si spiega come mai gli atti diretti in modo non equivoco a commettere una contravvenzione rimangono impuniti se idonei a produrre l’evento, posto che il tentativo non è configurabile nelle contravvenzioni, mentre possono portare all’applicazione di una misura di sicurezza.

La tesi si espone però a 2 obiezioni:

  • innanzitutto, l’art. 49 non informando in alcun modo sulla natura degli interessi tutelati, di per sé non può riuscire di ausilio nello stabilire quando sussista la lesione o messa in pericolo del bene protetto: per cui è necessario desumere l’interesse tutelato dalle singole fattispecie incriminatrici. Ma se il bene protetto deve essere desunto (come affermano i sostenitori della tesi) dalla intima struttura della fattispecie, ne consegue che riesce impossibile ipotizzare un fatto conforme a quest’ultima ma non lesivo del primo.
  • Poi vi è la preoccupazione che il suo accoglimento potrebbe rappresentare una fonte di pericolo per lo Stato di diritto: se il giudice dovesse far seguire alla già accertata corrispondenza tra fatto e modello legale, un secondo giudizio, relativo questa volta alla effettiva lesività. Risulterebbe da un alto minacciaa la certezza del diritto, dall’altra sorgerebbe il rischio di confondere le distinte funzioni giudiziaria e legislativa.

 

La vera funzione dell’art. 49

Per capire la vera funzione dell’art. 49 bisogna risalire alle ragioni storiche dell’introduzione della disposizione in esame. Il legislatore del ’30, ha inteso fugare ogni dubbio circa l’irrilevanza penale del tentativo assolutamente inidoneo in concreto a mettere in pericolo il bene protetto. Da questo punto di vista il tentativo esula, quando un fatto astrattamente idonei, al momento dell’azione, a raggiungere l’obiettivo criminoso perseguito, non potrebbe in ogni caso sfociare in un delitto consumato per la presenza di circostanze che ne rendono in concreto impossibile la realizzazione.

Per accertare se il bene in questione abbia corso un pericolo reale, non ci si può appagare del giudizio prognostico ex art. 56 nella sola ottica del soggetto agente. A questa prima verifica se ne deve aggiungere una seconda, compiuta su base totale nell’ottica della vittima come titolare del bene posto in pericolo: il che vuol dire che il giudizio prognostico viene applicato tentendo conto non solo delle circostanze conosciute e conoscibili dall’agente al momento dell’azione, ma di tutte le circostanze presenti nella situazione data, quale sia il momento in cui vengono conosciute.

I casi di tentativo inidoneo, se non mettono in pericolo il bene protetto, possono tuttavia assurgere a indici di uno stato di pericolosità sociale dell’agente; è per questa ragione che il giudice può ordinare che il prosciolto sia sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata.

Caso 43 – Un ladro desiste dal furto perchè non riesce a forzare la chiusura di protezione

Caso 44 – Tizio accoltella Caio, ma poi chiama il medico vedendo che la vittima rischia di morire

Caso 45 – Una donna apre il gas per uccidere il marito e esce di casa: poi però avverte polizia, che arriva e si limita ad arieggiare i locali (nessun danno è stato fatto)

– in molti casi il tentativo resta tale non per fattori esterni, ma perchè l’autore si ritira dalla possibilità di commettere reato

– 2 modi di scelta dell’agente:

1) desistenza volontaria: il soggetto agente rinuncia all’ azione prima che il tentativo si completi (es. caso 43)

2) recesso attivo: il soggetto agente interviene dopo la realizzazione dell’ azione per impedire che faccia danni (solo se tra azione e evento intercorre del tempo) (es. caso 44, ma non anche, seppur discusso, caso 45, che alla fine è desistenza volontaria)

– teoria del cd. ponte d’oro: il soggetto cerca di prevenire reati promettendo impunità (desistenza volontaria) o riduzione della pena (recesso attivo) a il soggetto agente eventuali (à più incentivi a non commettere che a commettere reato)

– NOTA: la teoria ponte d’oro non è però accoglibile (chi commette reato non capisce bene ciò che fa) à meglio premiare invece la non pericolosità sociale e la mancanza di Effettiva volontà criminosa

– in entrambi i casi = RECESSO VOLONTARIO dal tentativo (il soggetto agente deve desistere non perchè intervengono elementi terzi – oggettivi -, ma perché adotta soggettiva volontà di recesso)

 

Caso 46 – Borseggiatore introduce mano in tasca (vuota) di vittima

– reato impossibile (nient’altro che un tentativo impossibile che si realizza quando gli atti posti in essere dal il soggetto agente NON hanno caratteristiche di univocità e idoneità)

– art. 46 comma 2° cp: la punibilità è esclusa ‘quando, per la inidoneità dell’azione o per l’inesistenza dell’oggetto della stessa, è impossibile l’evento dannoso o pericoloso’

– atto che NON pone in pericolo IL BENE GIURIDICO à non configurabile come reato

– reato impossibile (REATO IMPOSSIBILE) <> tentativo per via dell’IDONEITA’

1) azione inidonea = REATO IMPOSSIBILE

2) azione idonea: 2a) oggetto verosimilmente esistente durante commissione fatto = tentativo 2b) oggetto non esistente = REATO IMPOSSIBILE per inesistenza oggetto

– impo = PROGNOSI POSTUMA a base totale – PPT – (con PP a base parziale – PPP – si arriverebbe a tentativo, ma in alcuni casi, anche se c’è dolo, mancano le circostanze che l’agente non conosceva e che però impediscono di configurare reato)

– con PPP si direbbe solo tentativo; con PPT (es. caso 46: ladro non poteva rubare denaro che non c’era) si può arrivare a reato impossibile (non punibile)

Lascia un commento