Gli artt. 7, 9 e 10 del c.p. contemplano diverse ipotesi di reati comuni commessi all’estero.
Art. 7 c.p. Alcuni reati commessi in territorio estero, non importa se da un cittadino o da uno straniero, vengono incondizionatamente puniti secondo la legge italiana. I delitti in questione sono elencati, appunto dall’art. 7 e sono:
o Reati contro la personalità dello Stato;
o Reati di contraffazione del sigillo dello Stato e di uso di tale sigillo contraffatto;
o Reati di falsità in monete aventi corso legale nel territorio dello Stato, o in valori di bollo o in carte di pubblico credito italiano;
o Ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali, stabiliscono l’applicabilità della legge italiana.
Tali casi si giustificano in base al principio di difesa, che rende applicabile la legge dello Stato cui appartiene il bene offeso; o nell’ultimo caso in base al principio di universalità.
Art. 9 c.p. disciplina il fenomeno della punibilità del cittadino per delitti comuni commessi all’estero diversi da quelli previsti dall’art 7, rispetto ai quali però, la punibilità è subordinata alla presenza di 2 condizioni:
- Che si tratti di delitto per il quale la legge italiana stabilisce l’ergastolo o la reclusione non inferiore nel minimo a 3 anni, ovvero che sussistono gli altri presupposti indicati dall’art. 9 commi 2° e 3°.
- Che il cittadino si trovi nel territorio dello Stato.
Secondo alcuni, la ratio di questa disposizione, va ravvisata nell’accoglimento del principio di personalità, mentre secondo altri si tratterebbe sempre di un’applicazione del principio di difesa.
2° comma. Ove si tratti di delitti punibili con una pena inferiore a 3 anni, occorre oltre alla presenza del reo nel territorio dello Stato, la richiesta del Ministro della Giustizia, ovvero l’istanza o querela della persona offesa.
3°comma. Qualora si tratti di delitto comune commesso all’estero a danno di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della Giustizia, sempre che l’estradizione non sia stata concessa o accettata. La Cassazione ha precisato che tale 3°comma, non ha riguardo ai delitti che lo Stato estero sia comunque interessato a reprimere nell’esercizio del suo potere punitivo e nei confronti dei quali assume quindi la qualifica di soggetto passivo generico, ma si riferisce al contrario a quelli in cui lo Stato straniero assume la posizione di soggetto passivo specifico.
Art. 10 c.p. disciplina l’ipotesi dello straniero che commette all’estero delitti comuni (diversi da quelli indicati all’art. 7) a danno dello Stato o di un cittadino italiano, ovvero a danno di uno Stato estero o di un o straniero.
Le condizioni cui la punibilità è subordinata, cambiano a seconda del soggetto passivo:
o Se il reato è commesso a danno dello Stato o di un cittadino italiano, occorre che si tratti di delitto punito con la reclusione non inferiore nel minimo ad un anno; che il reo si trovi nel territorio dello Stato; che vi sia la richiesta del Ministro della Giustizia ovvero istanza o querela della persona offesa.
o Qualora il reato sia commesso dallo straniero a danno di uno Stato straniero o di un cittadino straniero, l’art 10 comma 2°, esige, oltre alla presenza del reo nel territorio dello Stato e alla richiesta del Ministro, che sia prevista per il delitto, la pena dell’ergastolo ovvero la reclusione non inferiore nel minimo a 3 anni e che l’estradizione non sia stata concessa o accettata.
Delitto politico commesso all’estero
Art. 8 c.p. “agli effetti della legge penale, è delitto politico ogni delitto, che offende un interesse politico dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino. È altresì considerato politico, il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici.”
o Delitto politico in senso oggettivo (è definito tale in considerazione della natura del bene o interesse leso) offende un interesse politico dello Stato, vale a dire l’interesse che è proprio dello Stato considerato nella sua essenza unitaria comprensiva di popolo, territorio e indipendenza di governo. Rientrano in questa categoria, i delitti contro la personalità dello Stato e quelli previsti dalle leggi speciali che offendono una delle predette componenti. Non rientrano invece, i delitti che offendono il potere amministrativo o giudiziario dello Stato. Delitto politico in senso oggettivo è poi, quello che offende un diritto politico del cittadino, cioè il diritto di partecipare alla vita dello Stato e di contribuire alla formazione della sua volontà.
o Delitto politico in senso soggettivo, è il delitto comune determinato in tutto o in parte, da motivi politici. Il motivo politico è quel motivo del reato che determina la condotta in funzione di una concezione ideologica relativa alla struttura dei poteri dello Stato e sui rapporti tra Stato e cittadino. Mentre è escluso il motivo sociale, ovvero quel motivo che orienta la condotta dell’agente, in funzione di una concezione della società che non necessariamente si riflette in maniera immediata sulla forma politica.
Si ammette poi, che il motivo politico possa coesistere con un movente personale, purché il primo risulti prevalente.
Delitto politico nella Costituzione
Nella Costituzione si fa riferimento al delitto politico all’art. 26 in rapporto all’estradizione, e all’art. 10 con riguardo al diritto d’asilo; ma nessuna delle 2 norme fornisce una definizione di delitto politico e ci si chiede se la definizione codicistica sia stata costituzionalizzata o se dalla Cost. risulta una definizione diversa.
Inizialmente sembrava prevalsa la considerazione della definizione codicistica come costituzionalizzata, ma nel corso degli anni si è andato assistendo ad un mutamento di indirizzo. Infatti, oggi è prevalente la tesi autonomistica. Tra le opinioni espresse a riguardo, vi è quella che assume a criterio discretivo della natura politica del reato il tipo di rapporto intercorrente tra i fatto commesso e le libertà democratiche garantite dalla Cost.; per cui potranno avvantaggiarsi del divieto di estradizione o del diritto di asilo solo gli autori di reati commessi all’estero al fine di lottare contro un regime autoritario o per far valere diritti fondamentali il cui esercizio viene di fatto impedito.