Essendo il dolo sia rappresentazione sia volontà, oggetto del dolo è tutto ciò che il soggetto deve rappresentarsi e volere per essere in dolo, ossia il fatto oggettivo del reato (dolo generico) e il fine richiesto dalla norma (dolo specifico). Tale fatto:
- va determinato, per quanto riguarda gli elementi controversi, in base alla loro incidenza sull’offensività e, quindi, sull’illiceità del fatto.
- va inteso come fatto tipico, astratto, essendo necessario e sufficiente che il dolo investa gli elementi della realtà, rilevanti per l’integrazione della fattispecie legale.
Tra gli elementi del fatto, in particolare:
- alcuni costituiscono soltanto oggetto di rappresentazione:
- gli elementi positivi, precedenti e concomitanti alla condotta (es. presupposti, strumenti, mezzi, tempo), i quali, essendo dati la cui essenza è indipendente dalla condotta dell’agente, non possono essere ricompresi nella sfera della volontà.
- gli elementi negativi del fatto, ossia l’assenza di situazioni previste dalla legge come scriminanti, generali o speciali.
- altri costituiscono oggetto sia di rappresentazione e sia di volizione:
- l’azione.
- la conseguenza dell’azione.
Rispetto all’oggetto del dolo, di grande rilevanza pratica è la distinzione tra:
- dolo comune, che riguarda le attività pericolose non giuridicamente autorizzate, ma vietate in sé, in quanto causa di un evento lesivo. Tale dolo, in particolare, postula l’inosservanza del dovere di astensione da dette attività, imposto non da norme cautelari, ma dalle stesse norme incriminatrici (es. astensione dalla condotta idonea ad uccidere).
Il dolo comune è caratterizzato sia dalla rappresentazione sia dalla volontà del fatto materiale tipico, costituito, in questo caso, dalle stesse condotte pericolose e dall’evento.
- dolo speciale (o professionale), che riguarda le attività rischiose, ma giuridicamente autorizzate perché socialmente utili, se ed in quanto mantenute nei limiti segnati da regole cautelari, le quali prescrivono non l’astensione dall’attività, bensì l’esercizio della stessa in presenza di determinati presupposti (es. perizia del chirurgo) o secondo certe modalità (es. sorpasso stradale a destra), allo scopo di prevenire non il rischio consentito, proprio dell’attività, ma il rischio ulteriore (c.d. aumento del rischio). Tale dolo, in particolare, postula l’inosservanza delle regole cautelari, ed è caratterizzato dalla rappresentazione e volontà del fatto materiale tipico, costituito dall’inosservanza delle regole cautelari e dall’evento da essa conseguito (es. morte del paziente per imperizia chirurgica).
Il perenne problema del dolo, tuttavia, è se esso abbracci anche la consapevolezza del disvalore del fatto, non essendosi mai acquietata la dottrina sulla sufficienza della mera coscienza e volontà del solo fatto materiale. L’insuccesso dei vari sforzi tesi a dare una risposta a tale interrogativo, comunque, non giustifica la tesi scettica del dolo come mera coscienza e volontà del solo fatto materiale tipico.
Se è vero che il dolo come coscienza dell’offensività del fatto è consequenziale ad un diritto penale dell’offesa e che una responsabilità dolosa, autenticamente personale, può difficilmente prescindere da almeno tale conoscenza, è pur vero che tale esigenza può essere pienamente soddisfatta solo in un diritto penale rigorosamente costruito sull’offensività. E trattandosi essa di una meta soprattutto ideale, occorre distinguere tra:
- il dolo dei reati di offesa, che richiede sia la (1) coscienza e volontà dell’offensività del fatto, dato che l’offesa deve necessariamente costituire oggetto del dolo, sia la (2) conoscibilità dell’illiceità penale.
- il dolo dei reati di scopo (o di mera creazione legislativa), che richiede sia la (1) coscienza e volontà del mero fatto materiale tipico, ma non l’offensività (la conoscenza del disvalore sociale si identifica con la stessa coscienza dell’esistenza della norma), sia la (2) conoscibilità dell’illiceità penale del fatto.