Leggi dichiarate incostituzionali

L’art 136 cost. 1° c. dispone “quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di un atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.”

Inizialmente prevalse la tesi secondo cui la dichiarazione di incostituzionalità di una legge ne produce ex nunc la cessazione di efficacia, per cui era perfettamente ipotizzabile una successione di leggi tra una legge antecedente e una legge posteriore (abolitrice o modificatrice della prima) successivamente dichiarata incostituzionale. Tale interpretazione dava luogo a un inconveniente: in un ordinamento, in cui l’eccezione di costituzionalità presuppone la concreta rilevanza della questione in un giudizio pendente,sarebbe venuto meno lo stesso interesse di adire la Corte cost. se l’invalidazione di una legge dichiarata incostituzionale non ne avesse fatto cessare gli effetti anche con riguardo ai rapporti maturati antecedentemente la sentenza di accoglimento.

Così è stata emanata la l. n 87/53 che all’art.30 comma 3 e 4 dispone “le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. Quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano la esecuzione e tutti gli effetti penali”.

Oggi quindi , si ritiene che la dichiarazione di incostituzionalità abbia effetto ex tunc, per cui la legge invalidata non può essere applicata neppure alle situazioni verificatesi sotto la sua vigenza. Quindi, non si può ravvisare un fenomeno successorio tra una legge preesistente ed una posteriore poi dichiarata incostituzionale. La legge invalidata si applicherà comunque ove risulti + favorevole al reo rispetto a una precedente disposizione incriminatrice, per le stesse ragioni addotte con riguardo al d.l. non convertito.

 

Sindacato di costituzionalità sulle norme penali “di favore” (sent. 394/2006)

Le leggi penali c.d. di favore sono leggi abrogatrici o modificatrici in senso favorevole al reo, di preesistenti incriminazioni; l’effetto della dichiarazione di incostituzionalità potrebbe essere quello di far rivivere una precedente norma appunto + sfavorevole al reo, sino a renderla applicabile ad un fatto commesso sotto la vigenza di una norma denunciata.

La prevalente giurisprudenza della Corte cost. , preso atto che i principi in materia di irretroattività delle norme penali impedirebbero che una eventuale sentenza di accoglimento possa produrre un effetto pregiudizievole per l’imputato del processo penale pendente dinanzi al giudice a quo, ne ha dedotto l’inammissibilità per irrilevanza delle questioni relative alle norme di favore.

La stessa Corte, in alcune prese di posizione però, ha mostrato di superare l’assunto della inammissibilità di qualsiasi denuncia di norme penali più favorevoli al reo, per necessaria irrilevanza nel giudizio a quo. Si è affermato infatti, che altro è la garanzia del favor libertatis ex art 25 Cost., da considerare come autonomo principio penale che spetta comunque al giudice osservare, altro è invece il sindacato di costituzionalità sulle leggi penali di favore che non può essere sottratto alla Corte “ a pena di istituire zone franche del tutto impreviste dalla Costituzione, all’interno delle quali la legislazione ordinaria diverrebbe incontrollabile.”

Il sindacato della Corte è da ritenere ammissibile solo ad alcune condizioni: quando, una vola accertato che la scelta legislativa è in linea di principio quella di penalizzare un certo tipo di condotte, appaia palesemente arbitraria, alla stregua del principio di uguaglianza, una eventuale discriminazione nel trattamento punitivo delle condotte appartenenti allo stesso tipo.

 

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