“conseguenza penalmente rilevante della condotta”. Rivelare queste vuol dire in pratica considerare la distinzione tra reati di pura condotta e reato con evento naturalistico. in linea di principio la differenziazione sembra facile: si insegna che un reato è di pura condotta quando nella fattispecie criminosa il legislatore attribuisce rilevanza ad un comportamento umano prescindendo dai possibili risultati da esso prodotti. Quando invece la norma considera la condotta più un risultato che ne discende, si avrà un reato caratterizzato dall’evento (naturalistico). Se in qualche caso, decidere sull’appartenenza di un dato reato all’una o all’altra categoria non presenta grosse difficoltà (esempio: sull’omissione di referto contrapposta all’omicidio, ce ne sono altri in cui l’ipotesi è accanita. Le divergenze, se sorgono, dipendono in pratica dal modo di concepire la conseguenza della condotta, elevata ad elemento di fattispecie criminosa. L’ ordinamento penale concentra la sua attenzione su una condizione particolarmente qualificata: la condotta umana. Data questa condizione che è una delle tante esplicanti efficacia causale rispetto a un certo risultato, non sappiamo se un certo risultato si verificherà o no, perché il suo esplicarsi dipende da condotte ed altre condizioni indispensabili.
Condotta e sue conseguenze non formano, dunque, un tutto inscindibile. Conseguenze della condotta sono quelle entità che rispetto ad essa fanno sorgere un problema causale. Il problema si pone sempre in duplice grado: primariamente verificatasi una certa condotta ci si domanda se essa sboccherà in un certo risultato e successivamente quando la modifica del mondo esterno con conformità alla previsione astratta dell’evento si sia davvero verificata, ci si chiede se la condotta abbia posto in essere una delle condizioni necessarie e se così è, in qual modo essa abbia influito nel processo eziologico.
Definizione di conseguenza di condotta. Naturalisticamente la conseguenza di una condotta consiste nella modificazione, del mondo fisico o psichico, da essa cagionata, rilevante per il diritt (agire=modificare). A questo concetto fanno riferimento le singole figure di reato in cui una condotta è punita solo se produce (reati d’azione) o non impedisce (reati di omissione impropria) un certo evento, le disposizioni sul nesso di causalità , che è possibile relazionare nei confronti dell’effettivo mutamento arrecato alla stessa condotta. Questo risultato è chiamato “evento in senso naturalistico”: bisogna vedere come il dolo si atteggi verso ciò. La precisazione del nesso psichico rispetto all’evento ha costituito il campo di battaglia classico tra sostenitori della teoria della volontà e teoria della rappresentazione. L’evento va sicuramente rappresentato, ma basta ciò? No, serve anche l’intenzionalità in quando ogni volizione presuppone uno scopo cosciente e quindi nella realizza zio ne dolosa di una condotta penalmente rilevante non potrà mai mancare. Ma quando l’oggetto della rappresentazione che esplica questa particolare efficacia causale sul processo volitivo sia dato dall’evento tipico di una fattispecie criminosa, il dolo raggiunge il massimo suo grado di intensità, esprimendo il più stretto legame possibile tra chi agisce e le conseguenze della sua condotta. Ma analizzare questo legame porterà sempre e solo alla rappresentazione, sicuramente con speciale intensità e forza causale, ma sempre la stessa. A uguale situazione si giunge quando si esamina la posizione psicologica del soggetto agente per uno scopo diverso da quello della causazione dell’evento essendo comunque consapevole che quest’ultimo si verificherà sicuro come conseguenza della propria condotta. Esempio: io fuggo in auto dalla polizia e prendo il carretto che mi sbarra la strada prevedendolo, ma non per provocare questo danno, ma per salvarmi. La dottrina dominante ha spiegato il profilarsi, in tali ipotesi, di una responsabilità dolosa richiamandosi al principio secondo cui chi vuole (nel senso che egli sia trattato come se avesse voluto realmente le conseguenze connesse col risultato preso di mira) un certo risultato, vuole anche le conseguenze inevitabilmente connesse con questo. Per Gallo però la persona che determina questa condotta anche se prevede il risultato vietato dal diritto mostra di preferire alla rinuncia all’azione il verificarsi di quest’evento e se ne accolla la responsabilità quasi allo stesso grado se l’avesse intenzionalmente cagionato: quindi sembrerebbe in questi casi che basta che l’evento sia oggetto di rappresentazione, per giustificarne l’accollo a titolo di dolo . In generale però c’è la tendenza a non accettare ciò, ritenendo che per aversi dolo sia indispensabile elemento intellettivo e requisito determinato dalle varie correnti di pensiero. Ciò sarebbe poco spiegabile se l’ordinamento non contemplasse una certa figura i colpa caratterizzata dalla previsione dell’evento. Sorge allora una questione di confine tra dolo e colpa: se la previsione dell’evento è stato psicologico compatibile con un rimprovero per colpa vuol dire che per inquadrarlo come dolo occorrerà qualcosa in più. Questo ricordiamo vale solo per reati possibili ma non presi direttamente di mira, per gli altri eventi non c’è il discorso: quelli presi direttamente di mira e quelli previsti come certi anche se non presi di mira direttamente sono sempre imputati a titolo di dolo, per gli eventi non previsti l’imputazione è sempre per colpa.
Si è trattato fin’ora il problema come se concernesse solo l’atteggiamento doloso nei confronti dell’evento-conseguenza naturalistica della condotta. Presupposto di ciò è l’opinione che il 43 3° e 61 n. 3 che delineano una forma di colpa contrassegnata dalla previsione di esso, debba esser inteso in chiave naturalistica. Le prospettive cambiano però se l’evento ex 43 va interpretato come offesa agli interessi tutelati dalla norma. Su tal via l’evento esprime l’intero fatto e da ciò si deduce che la delimitazione tra dolo eventuale e colpa cosiddetta “cosciente” andrà fatta non rispetto ad un unico elemento del fatto oggettivo di reato, bensì rapportandosi con quest’ultimo al completo di ogni nota che lo costituisce. Per parlare di ciò però sarà indispensabile completare la ricostruzione sistematica dell’oggetto del dolo.
Cenno particolare merita la questione se sia necessario che il processo causale che lega la condotta all’evento sia rappresentato dal soggetto agente con i modi che ne accompagnano lo svolgimento. Si dovrà fare una distinzione tra fattispecie criminose in cui la legge non si limita a dire ”chiunque cagiona…” ma individua più dettagliatamente con notazioni interne il rapporto di causale indispensabile per la realizzazione del reato. Quando ciò si verifica non c’è dubbio che esse entrano a far dell’oggetto del dolo e solo il processo causale svoltosi con certe modalità potrà infatti considerarsi fornito del requisito della tipicità e anche con qualche perplessità, è riconducibile a tale categoria quella dei reati di omissione impropria. perchè la legge considera nelle figure criminose equivalente al cagionarlo il non impedire un evento che si aveva l’obbligo giuridico di impedire si potrebbe concludere che l’omittente deve raffigurarsi la trasgressione del dovere discendente da una norma giuridica diversa da quella incriminatrice che permette il prodursi dell’evento. Infine, il dolo imperniando la nozione sul concetto di volontà, si è profilato invece come elemento complesso in cui si riscontra un momento volitivo (diretta al movimento o all’inerzia) che costituiscono la condotta in senso stretto, più un movimento intellettivo che investe ogni elemento della fattispecie.