Una delle tecniche a cui il C.C. ricorre per consentire una valutazione del fatto posto in essere la più vicina possibile alle caratteristiche di quanto concretamente è stato commesso, è la previsione di elementi che non appartengono alla struttura del fatto di reato ma, determinando con la loro presenza una maggiore o minore gravità del danno criminale o della capacità a delinquere dell’agente, cagionano un aumento o una diminuzione della pena.
Argomento del 3 libro: qui è importante distinguere tra aggravanti e attenuanti. Oltre ciò poi c’è da tener presente che non è detto che l’elemento circostanziale (aggravanti o attenuanti) si aggiunga sempre al fatto costitutivo di reato, specificandolo. Infatti a volte può sostituirsi ad un elemento essenziale per inasprire o alleggerire la sanzione: in questo caso dovrà esser coperto da rappresentazione/volizione. Con la l. 19/1990 è stata fatta una novella: prima di essa le circostanze dovevano ritenersi estranee all’oggetto della colpa. Tuttavia le circostanze nel reato si presentano praticamente sempre quindi questa rilevanza non colpevole dava luogo al caso di responsabilità oggettiva. Ciò era sicuramente vero per le circostanze aggravanti, mentre per quelle attenuanti ricadeva e ricade il principio per cui un elemento che esclude o diminuisce la responsabilità giova sempre al soggetto agente. Per le aggravanti la disciplina era invece (con l’eccezione del 60) tutta improntata a responsabilità oggettiva. La novella invece (che ha interessato il 59 2°) ha mutato la norma per cui: “Le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente solo se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa”. Di conseguenza non potrà darsi addebito di una circostanza aggravante ogni volta che essa sia stata ignorata senza colpa o ritenuta inesistente per un errore non dovuto a colpa. Quindi queste circostanze rientreranno nell’oggetto ella colpa se la loro rilevanza dipende dal carattere colposo della loro mancata rappresentazione oppure dal carattere colposo della supposizione che esse erano di fatto inesistenti.
C’è poi un ulteriore passo in avanti: ciò è compiuto quando si consideri come operi a favore del reo la circostanza attenuante non riconosciuta o erroneamente ritenuta inesistente. Ci si riferisce solo alla disciplina delle circostanze, tacendo su quella dettata per gli elementi escludenti la pena. Infatti questi ultimi sono elementi essenziali del fatto e confrontarli con gli elementi costitutivi che danno luogo a una figura di reato meno grave rispetto a quella generale vorrebbe dire fare un’operazione di estensione analogica. La regolamentazione espressa vale per similitudine anche per i casi non espressamente contemplati. Diversa è invece l’argomentazione che prende le mosse dal come sono disciplinate le attenuanti che (sempre salvo il 60) svolgono la loro efficacia indipendentemente da collegamenti soggettivi: si potrebbe delineare un caso di interpretazione sistematica condotta sul filo del principio di non contraddizione. Siamo davanti a una interpretazione sistematica condotta sul filo del principio di non contraddizione: se l’ordinamento da rilevanza a una attenuante non conosciuta non toccata dalla volontà colpevole, così non può atteggiarsi verso un elemento essenziale del fatto che viene a creare una figura autonoma meno grave.
Art 60. Esso disciplina l’”errore sulla persona dell’offeso”. Nel C.P. originario questa norma portava un’ampia deroga al criterio oggettivo dell’imputazione delle circostanze. La riforma del 59 ha attenuato la deroga per quanto riguarda le aggravanti. La lettura che Gallo da di questo art è vicina a quella della Relazione al C.P. ma si discosta da dottrina e giurisprudenza: in particolare alla “Teoria generale del Reato” di Carnelutti. Con questa opera ci si discostava dall’intentio legis, non tanto per assicurare maggiori garanzie quando per vanificare la legge. E’ certo che anche chi denunciava l’eccessivo rigore della responsabilità oggettiva si adeguò all’interpretazione di questa opera. Il 60 stabilisce che: “ (1)Nel caso di errore sulla persona offesa da un reato, non sono poste a carico dell’agente le circostanze aggravanti riguardanti le condizioni o qualità della persona offesa, o i rapporti tra offeso e colpevole. (2) saranno valutate a suo favore le attenuanti erroneamente supposte concernenti le condizioni, qualità o i rapporti predetti. (3) Le disposizioni di questo art non si applicano se si tratta di circostanze riguardanti l’età o altre condizioni o qualità fisiche o psichiche della persona offesa”. riguardo i primi 2 commi, l’interpretazione di Carnelutti ritiene che regolano un tipico caso di errore nel processo formativo della volontà (il cosiddetto “errore scambio”. Esempio: Tizio vuole uccidere Caio ma spara verso Mevio che a distanza è confuso con Caio. Qui c’è volontà di cagionare la morte della persona bersaglio del colpo ma è una volontà viziata dall’errore dell’agente. l’omicida qui non avrà per questa interpretazione aggravanti concernenti condizioni o qualità personali dell’offeso ignorate ma esistenti, avrà invece a suo favore la supposizione erronea delle attenuanti). per Gallo però l’errore del 60 è rubricato “errore di persona”: all’interno del testo però si legge sempre “errore sulla persona”: esso presuppone una vicenda a due soggetti cioè un colpevole che agisce non rappresentandosi condizioni dell’offeso o, per contro, raffigurandosene condizioni e qualità, l’errore di persona si colloca invece nel contesto di una vicenda a 3 soggetti. Leggere il 60 nell’ottica di un “errore sulla persona” vorrebbe dire ridurre l’area della responsabilità obiettiva (oggi anomala) derivante dal 59. In base a tutto ciò diciamo che nel pensiero del legislatore il 60 vale per un rapporto per tre persone coinvolte, come per due persone coinvolte (colpevole e offeso). Ciò è avvalorato dal fatto che sarebbe improbabile la supposizione erronea d’un’attenuante che riguardasse condizioni o qualità personali dell’offeso e ancor di più rapporti tra colpevole e offeso nell’ipotesi di errore-scambio.
Conclusione. La rilevanza attribuita alla presenza materiale delle attenuanti non conosciute dal colpevole e di contro la rilevanza della supposizione erronea delle circostanze attenuanti concernenti la persona dell’offeso e i rapporti tra qiusto e il colpevole pongono l’interprete davanti un’alternativa. In pratica l’ordinamento nega valenza ad una componente necessaria di un certo fatto di reato e non da peso alla supposizione erronea di un elemento con queste caratteristiche. Questa contraddizione può esser superato facendo ricorso all’interpretazione sistematica per ritenere assoggettate alla stessa disciplina delle circostanze gli elementi costitutivi del fatto di reato di cui stiamo discutendo.