La l. 59/2006 ha introdotto all’art. 52 due nuovi commi destinati a regolamentare l’esercizio del diritto di autotutela in un privato domicilio: lo scopo della norma è tendere ad ampliare i presupposti di una difesa legittima nei casi in cui l’aggressore sorprende l’aggredito, in casa o altro luogo chiuso assimilabile.

L’aspetto di maggiore novità consiste nella modifica del requisito della proporzione: quando la reazione difensiva è diretta contro un intruso in una dimora, il giudice è dispensato dal verificare in concreto la proporzione tra offesa e difesa, che in questi casi è presunta.

Alcuni autori avanzano riserve critiche sotto un duplice aspetto: per un verso c’è il rischio che la riforma veicoli un messaggio fuorviante ai cittadini onesti (la “licenza di uccidere” ladri e rapinatori che si introducono nelle abitazioni e nei negozi), e per altro verso è da paventare che la normativa incentivi l’aggressività dei delinquenti quale risultato di maggiori spazi di aggressività difensiva permessi alle potenziali vittime. Infatti la legge non indica in modo univoco come possa reagire legittimamente il padrone di casa o di negozio minacciato dal ladro o dal rapinatore, per cui si espone a riserve critiche.

Struttura normativa. Il nuovo art. 52 comma 2° stabilisce che “nei casi previsti dall’art. 614, comma 1° e 2°, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente art. se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi indicati, usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:

  • La propria o altrui incolumità
  • I beni proprio o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione.”

Il nuovo 3° comma poi aggiunge che “ la disposizione di cui al comma 2° si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale.”

La nuova disciplina lascia comunque sussistere alcuni presupposti tradizionali delle legittima difesa ovvero: la necessità di difendersi e il pericolo attuale di un’ offesa ingiusta ad un diritto proprio o altrui.

Oltre alla presunzione di proporzione, ulteriori elementi di novità sono costituiti dallo specifico contesto in cui l’aggredito viene sorpreso, nonché le condizioni concomitanti che devono essere presenti perché la reazione sia legittima.

Quanto al contesto, occorre che la necessità di difesa sia provocata da un aggressore che commetta nel contempo una violazione di domicilio ex art. 614, si deve quindi, trattare di un estraneo che si introduce arbitrariamente nell’abitazione altrui ovvero di una persona che vi si trattiene contro la volontà dell’avente diritto.

Quanto ai presupposti (art. 52, 2°c.):

Il fine di difendere l’incolumità propria o altrui. Dalla nuova formulazione testuale (“al fine di”) sembra doversi ricavare che non basta una situazione oggettiva di pericolo attuale di offesa ingiusta, ma occorre che l’aggredito si rappresenti soggettivamente tale situazione e che reagisca animato da un animus defendendi suscettibile di autonomo accertamento giudiziale. La difesa deve avere ad oggetto la propria o altri incolumità, per cui si allude ai beni della vita e dell’integrità fisica. La novità consiste nel fatto che il giudice è esentato dall’accertare in concreto se vi sia proporzione tra la rispettiva gravità del danno minacciato e di quello subito dall’aggressore, essendo tale proporzione presunta.

Per evitare esiti inaccettabili qualche autore propone di controbilanciare la presunzione legislativa della proporzione mediante adeguata ricostruzione del requisito della necessità di difendersi: sarebbe necessaria solo la condotta non sostituibile con una meno lesiva.

Il fine di difendere i beni propri o altrui quando vi è pericolo di aggressione. Si considera presuntivamente proporzionato l’uso di un’arma, o di altro mezzo di reazione violenta, finalizzato allo scopo di difendere i beni propri o altrui , quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione. La legittimità dell’impiego dell’arma è però subordinata alla presenza di due requisiti ulteriori rispetto alla minaccia dell’aggressore al patrimonio: occorre che l’intruso aggressore “non desista” e che sussista un “pericolo di aggressione”.

Sulla non desistenza vi è chi propone un’interpretazione di procedura “cavalleresca” e cioè nei termini di un onere di intimidazione o avvertimento rivolta dall’aggredito all’aggressore; ma tale interpretazione va incontro al rilievo critico che la esplicita proposta di introdurre un invito a desistere, è stata nei lavori preparatori della legge, abbandonata proprio per evitare di peggiorare la situazione della vittima dell’aggressione esponendola a gravi rischi supplementari (potendosi immaginare che alla vista di un’arma in mano al padrone di casa che intima l’allontanamento, il malvivente possa agire per primo con violenza contro la vittima prima ancora che questi abbia il tempo di pronunciare la classica intimazione “fermo o sparo”).

Ma la mancata desistenza non basta, perché l’aggredito possa legittimamente reagire, occorre il requisito del pericolo di aggressione. L’interpretazione più plausibile di questo elemento è che si debba trattare di un pericolo che trascende la sfera dei beni patrimoniali e che si proietta sulla vita e sull’integrità personale dell’aggredito. Anche il pericolo dell’aggressione inoltre, deve essere attuale; la difesa armata sarà legittima, solo in presenza di un pericolo di aggressione concretamente incombente nella situazione data.

Si è obiettato però, che una tale interpretazione finisce col rendere vana la riforma, perché si richiede grosso modo quanto già chiesto prima della riforma al fine di autorizzare la reazione difensiva. Per valorizzare la rilevanza della riforma si dovrebbe invece, ritenere che oggi la persona legittimamente presente in un domicilio violato possa reagire già a fronte di una situazione di aggressione attuale al patrimonio, che lascia presagire una futura aggressione alla persona propria o di altro soggetto presente nel domicilio; a fronte quindi, di una situazione di pericolo non attuale per la vita o l’incolumità fisica di taluno e in mancanza di atti direttamente aggressivi dell’incolumità fisica da parte dell’intruso.

Una simile interpretazione però a sua volta, rischia di nullificare la rilevanza pratica del requisito del pericolo di aggressione: infatti, nella maggior parte dei casi concreti, non è mai in astratto escludibile la possibilità che il malvivente intruso, una volta scoperto, sviluppi azioni aggressive contro l’incolumità fisica della persona i delle persone presenti nel domicilio. Con tale interpretazione si finisce quindi con l’autorizzare l’aggredito a reagire uccidendo o ferendo l’aggressore.

Anche in questa ipotesi (sub b) perché una reazione difensiva violenta risulti scriminata, occorre la presenza di un pericolo incombente di aggressione ai beni personali del soggetto che si difende e anche in questo caso la presunzione legislativa di proporzione finisce col riferirsi al rapporto tra la rispettiva entità dei pregiudizi arrecati ai beni oggetto di difesa e offesa (es. può essere considerato legittimo, per salvaguardare la propria incolumità, ferire laddove per respingere l’aggressore poteva bastare assestare un pugno).

In entrambe le ipotesi (sub a e b) la liceità del ricorso all’uso di un’arma o altro mezzo idoneo è subordinata a una duplice condizione: che l’arma sia legittimamente detenuta e che chi si difende sia presente legittimamente all’interno del luogo chiuso in cui subisce l’intrusione del malvivente.

Ove la difesa armata sia azionata da un soggetto che possiede l’arma senza un valido titolo di legittimazione, verrà meno la presunzione di proporzione, ma sarà sempre applicabile (se ne ricorrono i presupposti) la scriminante tradizionale della legittima difesa, fatta salva la configurabilità di illeciti penali relativi alla illegittima detenzione dell’arma stessa.

 

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