Il giurista, assuma egli la veste del pubblico ministero, dell’avvocato o del giudice, nella sua interazione con le parti de processo fa esperienze, impara e, specie dopo pratica professionale pluriennale, integra la propria conoscenza delle norme con una conoscenza della realtà cui queste norme vengono applicate. La criminologia scompare dietro la dogmatica penale. Si tratta di uno squilibrio tra conoscenze normative ed empiriche. Le lacune nella formazione del giurista si fanno sentire nelle figure del legislatore e del giudice: entrambi dovrebbero avvertire il bisogno di cognizioni empiriche.
Alle caratteristiche della situazione concreta è possibile accedere solo attraverso l’osservazione. Si tratta in sostanza della corposa componente della motivazione “in fatto” non meno decisiva e centrale di quella “in diritto”. Il canale di immissione delle conoscenze empiriche nella trama argomentativa delle sentenze è la valutazione delle prove e in particolare i criteri adottati per operare detta valutazione, non di rado costituiti da generalizzazioni tratte dall’esperienza.
Nel caso della valutazione della prova indiziaria, poi, potranno risultare disattesi gli stessi equilibri posti dalla legge per la sua valutazione specialmente dove venga a mancare il carattere di gravità ossia l’atto di fondatezza delle massime di esperienza utilizzate per le relative inferenze. A testimoniare una tale lacuna nella formazione del giurista potrebbe bastare la lettura di certe sentenze. Si è soliti distinguere tra massime di esperienza e mere congetture, proprio in base alla considerazione che solo nelle prime e non anche nelle seconde i dati pertinenti sono stati sottoposti a verifica empirica.
Le discrasie tra dottrina e giurisprudenza penali
La giurisprudenza viene innanzitutto tacciata dalla dottrina di un’eccessiva tendenza a tagliar corto su importanti distinguo dogmatici, esautorando gli studiosi del diritto penale di un ruolo giocato proprio sul filo di tali sottili differenze. Soprattutto al mondo giudiziario, il versante scientifico imputa una inclinazione a comprimere con eccessiva disinvoltura le garanzie e ciò in vista di un’esigenza primaria di tutela dei beni giuridici.
Ai fini del superamento della incomunicabilità tra teoria e prassi si suggeriva soprattutto un sollecito adeguamento del sistema positivo al quadro costituzionale attraverso un lavoro di riforma. Molte delle ragioni di incomprensione tra dottrina e giurisprudenza sono da addebitare più al legislatore che a una cattiva volontà dei due versanti.
Viene anche in rilievo la preoccupazione della giurisprudenza di soddisfare anche le esigenze di semplificazione probatoria. Apertura all’empiria per il penalista può voler dire scoperchiare e mettere il naso nella pentola del come e perché il magistrato perviene alle sue scelte in quanto condizionato e fuorviato da una fatale inattualità del diritto positivo rispetto al diverso significato empirico-sociale e culturale che i fenomeni criminali sono venuti assumendo dopo che il legislatore ha operato le sue scelte normative.
Le sofferenze applicative vissute dalla giurisprudenza sono da ricondurre almeno in parte a un’artificialità dei dati testuali.