1 ° COMMA

“Nessuno può essere punito per un fatto che secondo la legge del tempo in cui fu commesso non costituiva reato.” In questo comma ci si riferisce la fenomeno della nuova incriminazione, che ricorre quando la legge introduce una figura di reato prima inesistente. (es. delitto di usura, introdotto solo col codice Rocco).

 

2° COMMA

“Nessuno può essere punito per un fatto che secondo una legge posteriore non costituisce reato e se vi è stata condanna ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali.” In questo comma invece, si fa riferimento al fenomeno di abolizione di incriminazioni prima esistenti (es. abrogazione dei delitti di offesa all’onore del Capo del governo). Il fondamento della disposizione è evidente: se l’abrogazione dell’illecito costituisce il risultato di una valutazione di compatibilità tra il comportamento incriminato e l’interesse collettivo, sarebbe contraddittorio continuare a punire l’autore di un fatto ormai tollerato dall’ ordinamento giuridico.

In alcuni casi, però, la norma penale successiva non abroga una disposizione incriminatrice preesistente, ma ne riformula il contenuto mediante la sostituzione degli elementi costitutivi o l’aggiunta di nuovi: in questi casi il problema è quello di stabilire se permanga la rilevanza penale del comportamento in questione , salva ove ne sussistano i presupposti, l’applicazione della disposizione + favorevole ex art. 2, 3°c.

 

Successioni di leggi e applicabilità della disposizione più favorevole al reo

Sono diversi i criteri che presiedono all’individuazione del fenomeno della successione di leggi penali nel tempo:

secondo un primo orientamento, si ha successione quando nel passaggio dalla vecchia alla nuova norma permane la continuità del tipo di illecito. Come parametri di valutazione si utilizzano l’interesse protetto e le modalità di aggressione del bene, per cui si verificherebbe una successione quando, nonostante la novazione legislativa, permangano identici tali elementi.

Critiche. Le due condizioni si verificherebbero solo in caso di perfetta identità del fatto di reato, quindi è vana l’utilità pratica di tale criterio. Inoltre, la tesi risulta di incerta applicazione, perché fondata su apprezzamenti di valore opinabile e sull’indeterminatezza del peso rispettivamente attribuibile al criterio del bene e a quello delle modalità aggressive del fatto. La funzione di garanzia del principio di irretroattività richiede invece, parametri di valutazione + certi e tali da scongiurarne elusioni mascherate.

Un secondo criterio prospettato è quello facente leva sul rapporto di continenza tra la vecchia e nuova fattispecie: è necessario che tra le fattispecie si possa instaurare una relazione di genere a specie. Ciò si verifica quando la fattispecie successiva sia pienamente contenuta nella precedente (es. quando la norma successiva sia speciale rispetto alla precedente di contenuto + generico), oppure, secondo parte della dottrina, anche nel caso in cui la norma successiva ampli il contenuto di una precedente + specifica (quindi il rapporto di continenza è configurabile anche nell’ipotesi in cui l’eventuale abrogazione di una norma precedente speciale, lasci reato impossibile espandere una norma di contenuto + generale preesistente nell’ordinamento).

Caso. La sostituzione del reato di infanticidio per causa d’onore con la nuova fattispecie di infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale (art. 578). In questo caso, tra la vecchia e nuova fattispecie non esiste un rapporto riconducibile allo schema astratto della relazione di genere a specie: infatti, il tipo di comportamento incriminato nel nuovo delitto di infanticidio in condizioni di abbandono morale e materiale risulta strutturato in modo eterogeneo rispetto a quello del preesistente reato di infanticidio per causa d’onore. Per cui i fatti commessi sotto il vigore della precedente norma, non possono essere ricondotti sotto la nuova previsione criminosa.

L’abolizione del vecchio art. 578 comporta però, la potenziale reato impossibile espansione della fattispecie del delitto comune, che ricomprende indubbiamente l’infanticidio. Quindi, sussistono i presupposti della successione di leggi, con applicabilità della regola del favor rei ex art. 2, 3°c. (quindi applicabilità della pena prevista per il delitto di infanticidio per causa d’onore, nella specie)

Nei reati contro la P.A è più frequente è il ricorso al criterio della continuità del tipo di illecito accompagnato dalla mediazione del fatto concreto.

In materia di abuso di ufficio si ricorre alla specialità come criterio di soluzione dell’alternativa abolitio/successione.

Nei reati tributari si afferma che vi è successione se all’esito della comparazione e del raffronto degli elementi strutturali del contenuto normativo della fattispecie, persiste, anche se mutato, il giudizio di disvalore astratto per effetto di un nesso di continuità ed omogeneità delle rispettive previsioni, ed il significato lesivo del fatto storico sia riconducibile nel suo nucleo essenziale ad una diversa categoria dell’illecito, tuttora penalmente rilevante (cass.25 ottobre 2000)

 

3°COMMA

“ Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono + favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.”

Questo comma introduce il principio della retroattività della norma + favorevole al reo: fondamento del principio è la garanzia del favor libertatis, che assicura al cittadino il trattamento penale + mite tra quello previsto dalle leggi successive, purché precedenti la sentenza definitiva di condanna . il principio stesso è anche collegabile all’art 3 cost. che impone di evitare ingiustificate o irragionevole disparità di trattamento.

L’operatività di tale comma presuppone un ipotesi di successione tra fattispecie incriminatrici accertabile secondo il criterio del rapporto di continenza.

Per stabilire quando ci si trovi di fronte ad una disposizione + favorevole, occorre operare un raffronto tra la disciplina prevista dalla vecchia norma e quella introdotta dalla nuova. Tale raffronto va effettuato in concreto e non paragonando le astratte previsioni normative delle 2 norme. Quindi mettendo a confronto i rispettivi risultati dell’applicazioni di ciascuna di esse alla situazione concreta oggetto di giudizio.

In alcuni casi, l’operatività di tale criterio è dubbia: ad es. la degradazione di un illecito da delitto a contravvenzione, con conseguente estensione della punibilità alle semplici ipotesi colpose prima non discriminate. In tal caso l’estensione della punibilità ad ipotesi colpose prima impunite decide della stessa incriminabilità del fatto con conseguente applicazione dell’art 2 ,1°c.

L’art 14 l 85/2006 ha aggiunto all’art 2 un nuovo 3°c. con cui ha disciplinato l’ipotesi della modifica nel tempo, del trattamento sanzionatorio intervenuta dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna. “Se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria ai sensi art.135”

 

Successioni di leggi integratrici di elementi normativi della fattispecie criminosa

Si discute se, e in quali limiti, la disciplina di cui all’art 2 sia applicabile alle modifiche normative che non incidono direttamente sugli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice, ma che vi incidono in maniera soltanto indiretta o mediata (es. modifica di norme che integrano il contenuto di una legge penale o che disciplinano elementi normativi). (vedi casi nel libro). La soluzione del problema è controversa:

Secondo un primo orientamento restrittivo prevalente in dottrina, la disciplina dell’abolitio criminis ex art 2, 2°c è inapplicabile al caso di abrogazione di norme integratrici di elementi normativi: infatti, la legge abrogatrice non introdurrebbe alcuna differente valutazione all’astratta fattispecie incriminatrice e del suo significato di disvalore, ma eliminerebbe dall’ordinamento o modificherebbe disposizioni penali o extrapenali che si limitano a influire nel singolo caso sulla concreta applicabilità della norma incriminatrice stessa.

Secondo un altro orientamento, occorre distinguere a seconda che l’elemento normativo in questione sia o non in grado d incidere sulla portata e il disvalore astratto della fattispecie criminosa, condizionandone l’ampiezza con riferimento sia alla descrizione del tipo di reato, sia ai soggetti attivi.

Data la difficoltà di stabilire con certezza in quali casi la modifica mediata incida realmente sulla fattispecie incriminatrice astratta, è preferibile la tesi + estensiva. (La disposizione integratrice nella misura in cui contribuisce a disciplinare i presupposti normativi della rilevanza penale del fatto, finisce col far corpo con la norma incriminatrice).

La disciplina di cui all’art 2 viene in gioco anche quando la variazione ha ad oggetto una norma integratrice di natura non solo extrapenale ma anche extragiuridica. Anche se parte della dottrina contesta tale affermazione.

 

Successione di leggi temporanee, eccezionali, finanziarie  

Ai sensi dell’art 2, 5° c, il principio di retroattività in senso + favorevole al reo è inoperante rispetto alle leggi temporanee e eccezionali.

Sono leggi eccezionali quelle leggi il cui ambito di operatività temporale, è segnato dal persistere di uno stato di fatto caratterizzato da accadimenti fuori dall’ordinario (guerre epidemie terremoti).

Sono temporanee le leggi rispetto alle quali è lo stesso legislatore a prefissare un termine di durata.

In questi casi è inapplicabile l’art 2. Da un lato è connaturata alle caratteristiche di tali leggi l’applicabilità di un regime diverso da quello eventualmente + favorevole, dall’altro ove il principio del favor rei dovesse trovare riconoscimento, si offrirebbe una comoda scappatoia per commettere violazioni con la certezza di una futura impunità.

La stessa disciplina è dettata dall’ art. 20 l. n° 4/1929 x le leggi finanziarie “Le disposizioni penali delle leggi finanziarie e quelle che prevedono ogni altra violazione di dette leggi, si applicano ai fatti commessi quando tali disposizioni erano in vigore, ancorché le disposizioni medesime siano abrogate o modificate al tempo della loro applicazione.“

Il fondamento di tale disciplina derogatrice risiede nell’interesse primario alla riscossione dei tributi. L’art 20 però è stato abrogato, per cui i commi 2 e 4 si applicano anche nel caso di successione di leggi penali finanziarie.

 

Decreti-legge convertiti

L’ultimo comma dell’art 2 stabilisce che la disciplina della successione di leggi si applica anche nei casi di decadenza e di mancata ratifica di un decreto legge convertito in legge con emendamenti. Dato che in caso di mancata conversione del decreto si ha cessazione ex tunc degli effetti (art 77 cost.), nell’ipotesi di decreti non convertiti che eventualmente introducano, modifichino, o abroghino fattispecie penali preesistenti, viene meno la possibilità di configurare una successione di leggi penali nel tempo (ciò in quanto il fenomeno della successione presuppone la valida applicazione della legge preesistente al fatto, mentre la caducazione con efficacia ex tunc di un d.l. impedirebbe di continuarlo ad applicare anche a fatti commessi durante la sua vigenza).

Nel caso in cui i decreti legge non convertiti abbiano contenuto modifiche della disciplina penale preesistente + favorevole al reo (es. un d.l. che abroghi una incriminazione preesistente o ne attenui il trattamento sanzionatorio), si dovrebbe pervenire alla conclusione che un fatto non costituente reato, o punito meno gravemente al momento in cui fu commesso, tornerebbe a costituire reato o ad essere + gravemente punito, dopo la caducazione del d.l.. Ovviamente in questo caso le conclusioni sono inaccettabili e il principio di irretroattività della legge penale incriminatrice  o + sfavorevole (art 25, 2°c, cost.) non può mai essere derogato. Ne consegue che anche le esigenze di cui art 77, devono rimanere subordinate al rispetto al principio di irretroattività della disposizione meno favorevole al reo: quindi , deve essere applicato il decreto decaduto se , nel raffronto con una precedente disposizione, risulta + favorevole al reo.

 

Corte Costituzionale

In alcune sentenze la Corte sembra contraddire tale tesi che attribuisce prevalenza al principio di cui art. 25, 2°c, cost. Con la sent.51/85 ha infatti, dichiarato illegittimo, per violazione dell’art 77 cost. 3°c., l’art 2 c.p. 6°c, nella parte in cui rendeva applicabili le disposizioni di cui ai commi 2 e 4 ai casi di mancata conversione di un d.l. recante norma penale abrogatrice o + favorevole. Tale orientamento della Corte, però, va circoscritto ai soli casi in cui esso renderebbe applicabile il d.l. non convertito ai fatti pregressi, cioè compiuti anteriormente alla sua entrata in vigore. Quindi esula dalla portata della pronuncia, la questione dell’applicabilità del d.l. non convertito ai fatti commessi durante la sua vigenza.

 

Lascia un commento