Il codice detta una disciplina specifica per l’elemento soggettivo nelle contravvenzioni.

L’art. 42 comma 4°, dispone che “nella contravvenzioni ciascuno risponde della propria azione od omissione cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa”

L’art. 43 ultimo comma, aggiunge che “la distinzione tra reato doloso e reato colposo, stabilita per i delitti, si applica altresì alle contravvenzioni, ogni qual volta per queste la legge penale faccia dipendere da tale distinzione un qualsiasi effetto giuridico”.

L’interpretazione dell’art. 42 comma 4°.

L’interpretazione di tale articolo ha dato luogo ad opinioni contrastanti, ma risulta ormai superata la tesi che riteneva sufficiente, ai fini della sussistenza dell’elemento psicologico nelle contravvenzioni, la mera coscienza e volontà della condotta, indipendentemente dal dolo o dalla colpa. Tale tesi prendeva spunto dai lavori preparatori del codice, ove si sottolineava l’esigenza di una pronta osservanza delle norme contravvenzionali, la cui efficacia si paventava venisse paralizzata da complesse indagini sulla colpevolezza dell’autore.

L’obiezione principale mossa a tale tesi è quella che ritiene che essa mascheri un’ipotesi di responsabilità oggettiva. Ed invero, l’inciso di cui all’art. 42 ultimo comma, sta a significare non tanto che la punibilità delle contravvenzioni possa prescindere dal dolo o dalla colpa, quanto che è indifferente la presenza dell’una o l’altra forma di colpevolezza. Per cui mentre nel campo dei delitti, il dolo rappresenta il criterio tipico di imputazione e la colpa l’eccezione, con la conseguenza che di colpa si risponde solo nei casi espressamente previsti dalla legge; nelle contravvenzioni sarà sufficiente la sola colpa.

 

L’accertamento dell’elemento soggettivo

Delle divergenze di opinione si hanno anche con riferimento alla tecnica di accertamento dell’elemento soggettivo nelle contravvenzioni.

Parte della dottrina sostiene che la legge avrebbe dispensato il giudice dall’indagine sull’accertamento psichico del contravventore, sancendo una presunzione di colpevolezza e addossando all’agente l’onere della prova contraria.

Secondo altri, sarebbe sufficiente, in sede di accertamento, far ricorso alle comuni regole di esperienza, sulla base delle quali sarà consentito condannare ove non vi siano circostanze in grado di evidenziare una situazione eccezionale in cui il soggetto abbia realizzato il fatto senza dolo o colpa.

Entrambe le impostazioni però, sono prive di appigli normativi, infatti, non vi è nessuna disposizione che esplicitamente consenta di derogare, nella materia in esame, ai principi generali in tema di accertamento.

Inoltre, la disposizione di cui all’art. 43 comma 2°, attribuendo rilevanza alla distinzione tra dolo e colpa anche sul terreno delle contravvenzioni tutte le volte che da tale distinzione derivino conseguenze giuridiche, ammette che dell’intensità del dolo e del grado della colpa il giudice debba tener conto ai fini della commisurazione della pena: quindi, il giudice, per potere compiere la valutazione, deve prima accertare se l’illecito contravvenzionale sia stato commesso con dolo o colpa.

 

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