Il diritto penale è quella parte del diritto pubblico che disciplina i fatti costituenti reato. Il reato è ogni fatto umano alla cui realizzazione la legge riconnette sanzioni penali. Le sanzioni penali sono la pena e la misura di sicurezza ed entrambe tendono al duplice obiettivo di distogliere la generalità dei consociati dal commettere reati (prevenzione generale), e di risocializzare il delinquente impedendo che torni a delinquere (prevenzione speciale).

Il concetto di reato ruota attorno a 3 principi cardine:

Principio di materialità Non può esservi reato se la volontà criminosa non si materializza in un comportamento esterno.

Principio di offensività o lesività. Ai fini della sussistenza di un reato non è sufficiente la realizzazione di un comportamento materiale, è necessario che tale comportamento leda o metta in pericolo beni giuridici.

Principio di colpevolezza. Un fatto lesivo di beni giuridici può essere penalmente attribuito all’autore soltanto a condizione che gli si possa muovere un rimprovero per averlo commesso.

 

Funzioni di tutela del diritto penale: la protezione dei beni giuridici

La funzione del diritto penale consiste nella tutela dei beni giuridici, predisponendo sanzioni ove tali beni siano lesi o messi in pericolo.

I beni giuridici sono i beni socialmente rilevanti considerati, in ragione della loro importanza, meritevoli di tutela. Il bene giuridico, in diritto penale, ha però carattere dinamico, nel senso che non corrisponde semplicemente a una cosa o ad un interesse dotato di valore in sé; i beni giuridici esistono solo se, e nella misura in cui producono effetti utili nella vita sociale. La definizione più adatta infatti, è quella che identifica il bene giuridico come un’ unità di funzione : “ assurge a bene giuridico soltanto quell’interesse o quell’accorpamento di interessi, idonei a realizzare un determinato scopo utile per il sistema sociale o per una sua parte.”

 

ORIGINI STORICHE DEL PRINCIPIO DELLA PROTEZIONE DEI BENI GIURIDICI

Il sistema dei delitti e delle pene ha per scopo proteggere quei beni o interessi, dalla cui tutela dipende la garanzia di una convivenza pacifica. La prospettiva della protezione dei beni giuridici, circoscrive la funzione del diritto penale ai soli casi di “stretta necessità” (Beccaria, Feuerbach). Se il criterio della stretta necessità giustifica la sanzione punitiva solo nei casi in cui il ricorso è indispensabile, è necessario che la tutela penalistica abbia ad oggetto solo i beni essenziali ai fini di una pacifica convivenza. Laddove si tratti di beni o interessi di dubbia consistenza sarebbe opportuno ricorrere a tutele di carattere extrapenale.

Nell’ordinamento vigente, però, sono diverse le fattispecie penali poste a tutela di beni di dubbia consistenza e vi sono anche comportamenti puniti anche se non raggiungono la soglia di una percepibile aggressione all’interesse protetto (delitti di attentato): per cui si assiste ad una divaricazione tra la concezione teorica del diritto penale e la realtà dell’ordinamento.

L’idea della protezione dei beni giuridici ha tradizionalmente sollevato problemi, però, data la difficoltà nel determinare concettualmente i “beni” assumibili a oggetto di tutela penale.

 

IL CONCETTO DEL BENE GIURIDICO

La paternità del concetto di bene giuridico è riconosciuta al giurista tedesco Birnbaum (XIX sec). Egli criticava la concezione illuministica del reato come violazione di un diritto soggettivo, rilevando come tale concezione non fosse idonea a spiegare la punizione di fatti lesivi di beni considerati di particolare rango (moralità pubblica, sentimento religioso) perché non riconducibili al paradigma del diritto soggettivo. Questa teorizzazione finiva però, col riconoscere un catalogo più ampio di legittimi oggetti della tutela penale, anche se Birnbaum rimaneva ancorato all’esigenza (di valenza illuministica) di considerare oggetti della tutela penale solo interessi o beni avvertiti come meritevoli di particolare considerazione nell’ambito della comunità sociale.

Alla fine dell’ottocento Franz v. Liszt affermò che il diritto penale serve alla soddisfazione di bisogni sociali che si impongono come dati preesistenti alla disciplina giuridica, e con i quali il legislatore deve misurarsi senza anteporre vedute astratte della realtà. Egli propone, quindi , un concetto materiale di bene giuridico, basato su interessi preesistenti alla valutazione del legislatore e come tali idonei a garantire la corrispondenza tra la realtà sociale e disciplina normativa. Il contenuto antisociale dell’illecito è indipendente dall’apprezzamento del legislatore: la norma lo trova non lo crea. Tale impostazione circoscrive l’ambito della tutela penale entro confini rispondenti all’esigenza di salvaguardare i fondamentali interessi umani, ma incorre in un grave limite: non riesce a prospettare idonei criteri per selezionare i dati pre giuridici che dovrebbero materializzare il concetto di bene giuridico, per cui la pretesa di vincolare il legislatore nella scelta dei beni tutelabili rimane insoddisfatta.

Agli inizi del 900 Arturo Rocco, in una sua celebre opera (l’oggetto del reato e della tutela giuridica penale), enuncia la concezione di reato come lesione di un bene giuridico. Secondo il Rocco la determinazione del concetto di bene giuridico non può prescindere dalle valutazioni normative già compiute dal legislatore, per cui il concetto di bene giuridico finisce col coincidere con l’oggetto di tutela di una norma penale già emanata. Risale al Rocco poi, la triplice distinzione tra oggetto giuridico formale (diritto dello Stato all’obbedienza alle proprie norme da parte dei cittadini); oggetto giuridico sostanziale generico (interesse dello Stato alla sicurezza della propria esistenza e conservazione); e oggetto giuridico sostanziale specifico ( bene o interesse di pertinenza del soggetto passivo del reato)….. tale tripartizione si rivela superflua sicché l’unico concetto rilevante è quello di oggetto giuridico sostanziale specifico, che individua il bene o interesse protetto dalla norma penale.

 

ORIENTAMENTI E CONCEZIONI DEL BENE GIURIDICO

Concezione metodologica è stata elaborata intorno agli anni ’30 in seno alla dottrina tedesca e contesta il ruolo centrale del bene giuridico nella configurazione della fattispecie incriminatrice, nel convincimento che questo sia estraneo al processo strettamente interpretativo della norma. Secondo tale orientamento,  assumo una non minore importanza altri elementi, quali la modalità della condotta aggressiva, le caratteristiche dell’elemento soggettivo, la qualità dei motivi a delinquere ….  Questo processo di revisione critica, ha portato ad un forte ridimensionamento del ruolo autonomo del bene giuridico, infatti, secondo i metodologici il concetto di bene giuridico finisce col ridursi ad una formula abbreviatrice del concetto di scopo della norma penale, quindi il bene giuridico non è una realtà preesistente alla norma, ma il risultato di una interpretazione di scopo (bene giuridico = ratio legis). Tale concezione risulta, però, inadatta a fornire indicazioni sicure sull’oggetto e sulle finalità della tutela penale, in quanto si incontrano difficoltà in sede di determinazione dello scopo della norma incriminatrice.

Concezione nazionalsocialista afferma che l’intervenuto mutamento del rapporto Stato- cittadino, quale effetto della rivoluzione nazionalsocialista, fa sì che al centro del reato assurga la violazione del dovere di fedeltà nei confronti dello Stato etico, impersonato dal Fuhrer. Criterio di determinazione della dannosità criminale dei comportamenti punibili, diventa il sentimento popolare impregnato di valori etici … quindi si assiste ad un assorbimento della sfera del diritto nella sfera etica. Inoltre il diritto penale, secondo Kiel, non dovrebbe limitarsi alla conservazione di beni statici preesistenti, ma dovrebbe contribuire a trasformare le condizioni di vita della comunità sociale ed anche la coscienza del popolo, allo scopo di conseguire determinate finalità nazionali e sociali. Ovviamente tale concezione è del tutto incompatibile con i principi dello Stato moderno.

Concezione liberale. Nei primi anni 60 e 70 si assiste alla conquista di maggiori spazi di libertà e di democrazia che hanno imposto un ripensamento dei criteri di legittimazione dell’intervento punitivo nell’ambito di un moderno Stato di diritto. Sicuramente, lo scopo è stato quello di emancipare il più possibile il diritto penale dalla tradizionale subordinazione alla morale corrente. Secondo tale concezione, possono assurgere legittimamente a oggetto di tutela, solo entità dotate di sostrato reale e come tali, materialmente ledibili e corrispondenti a valori suscettivi di consenso diffuso. Il limite di questa concezione, consiste nell’incapacità di fornire criteri di individuazione del bene giuridico così univoci, da potere vincolare il legislatore nelle scelte degli oggetti tutelabili. Il concetto di entità materiale concretamente ledibile è infatti troppo generico e privo di idoneità selettiva.

Teoria costituzionalmente orientata del bene giuridico. Proprio l’esigenza di prospettare criteri atti a impedire rischi di arbitrio da parte di un legislatore “onnipotente”, ha indotto la dottrina ad assumere la Costituzione a fondamento o comunque a criterio fondamentale, nella scelta di ciò che può legittimamente assurgere a reato. Gli obiettivi perseguiti da questa teoria sono: elaborare un concetto di bene giuridico che preesista alla valutazione del legislatore ordinario e; prospettare criteri di determinazione del bene giuridico dotati di vincolatività nei confronti del legislatore penale.

Per individuare i “casi di stretta necessità” in cui si ammette il ricorso allo strumento penale si fa riferimento a:

Art. 25 2°c, Cost. che affidando al Parlamento o al Governo il potere di legiferare in materia penale, muove dall’esigenza di ridurre il campo dell’illiceità penale.

Art. 27 1°c, Cost. che sancendo il principio del carattere personale della responsabilità penale, pone limiti strutturali alla tecnica penalistica di tutela, così da ridurre le chance di utilizzo della stessa nei casi in cui risulta + funzionale il ricorso a forme diverse di tutela.

Art. 27 3°c, Cost. che attribuendo alla pena una funzione rieducativa, presuppone una delimitazione dell’area dell’illecito ai soli fatti lesivi di quei valori che, possono essere assunti a metà del processo di rieducazione del condannato.

Art. 13 Cost. che sancendo il carattere inviolabile della libertà personale, riprova ulteriormente che l’uso della coercizione penale, va limitato ai soli casi che lasciano apparire inevitabile il costo di un restrizione della libertà come effetto dell’imposizione della sanzione.

Art.3 Cost. viene poi in considerazione in quanto la pena sacrifica anche altri valori costituzionali quali la dignità sociale, e di fatto frustra una piena estrinsecazione della personalità umana.

Proprio a causa dell’attitudine della pena a incidere negativamente su beni di rango costituzionale il ricorso alla pena trova giustificazione soltanto se diretto a tutelare beni socialmente apprezzabili dotati di rilevanza costituzionale. La tutela penale è però, estensibile anche ai beni che nella Costituzione trovano un riconoscimento solo implicito. Infatti, esistono beni che pur non menzionati dalla Costituzione trovano tutela penale, in quanto rientrano nel sistema sociale dei valori nella comunità sociale (pietà dei defunti); e poi può accadere che più beni siano avvinti da un nesso funzionale di tutela, per cui la tutela apprestata a un bene privo di rilievo costituzionale esplicito, risulti finalizzata alla salvaguardia di un bene espressamente contemplato dalla Costituzione. Infine c’è da dire che per essere oggetto di tutela penale è necessario che il bene sia menzionato esplicitamente o implicitamente nella Costituzione, ma ciò non comporta l’assunto che la rilevanza costituzionale di un bene, faccia sorgere per il legislatore ordinario, l’obbligo di creare fattispecie penali finalizzate alla sua salvaguardia.

Quindi accertato che il bene è sussumibile nell’ambito dei valori costituzionali, la scelta del se e come punire (an e quomodo) risulta condizionata dalla presenza di vari fattori (criteri della sussidiarietà e meritevolezza della pena); per cui bisogna verificare se la tutela del bene sia assicurabile mediante tecniche sanzionatorie extrapenali e se il grado dell’aggressione a esso raggiunga una soglia tale da far apparire inevitabile il ricorso alla sanzione punitiva.

 

PROBLEMA DELLA COMPATIBILITA’ CON LA COST. DELLE FIGURE DI REATO DELL’ORDINAMENTO

A)Bisogna verificare se si tratti di fattispecie poste a tutela di un bene sufficientemente definito e se in armonia col sistema di valori costituzionali.

B) Bisogna controllare la conformità ai principi costituzionali delle tecniche di tutela adottate dal legislatore per garantire la salvaguardia del bene stesso.

 

Il problema riguarda i c.d. reati senza bene giuridico (es. pornografia, gioco d’azzardo, bestemmia …). In primo luogo è controverso se al diritto penale spetti salvaguardare valori attinenti alla sfera etica, la cui violazione non comporti tangibili danni sociali diversi dall’offesa alla morale corrente.

Ovviamente in uno Stato pluralistico, il diritto penale non può imporre ai cittadini adulti una determinata concezione morale.

In secondo luogo, è poco agevole l’individuazione del bene giuridico quando si passa dalle fattispecie poste a tutela dei classici beni individuali (vita, integrità fisica) a quelle finalizzate alla protezione si interessi superindividuali o ad ampio raggio (economia pubblica, ambiente). In questo caso l’oggetto della protezione penale perde concretezza, ma molti di questi interessi sono andati acquisendo un rango crescente nella coscienza sociale, e poi ve ne sono alcuni che comunque presentano un minor grado di indeterminatezza quali, il regolare esercizio dell’attività giudiziaria o il buon funzionamento della pubblica amministrazione.

In ultimo luogo possono apparire problematici sotto il profilo dell’enucleazione di uno specifico bene giuridico, quale oggetto di tutela, i c.d. delitti omissivi propri, consistenti nella mera inosservanza di un obbligo di condotta penalmente sanzionato.

Qui il problema riguarda i seguenti modelli criminosi

Reati di sospetto, la cui struttura si discosta molto dal principio di offensività, infatti, la repressione di tali comportamenti ha una giustificazione preventiva.

Reati ostativi: con la cui figura il legislatore si pone lo scopo di frapporre un impedimento al compimento dei fatti concretamente offensivi. Tali fattispecie sono ammesse a una duplice condizione: che l’effettiva idoneità preventiva della fattispecie non sia presunta e che il bene finale da salvaguardare sia di elevato rango.

Reati di pericolo presunto: questo modello tipizza fatti che è presumibile che provochino una messa in pericolo del bene protetto, ma non è certo che lo provochino. Questo modello è ammissibile solo in presenza di alcune rigorose condizioni.

Reati a dolo specifico con condotta neutra: sono illeciti imperniati su di una condotta che può anche costituire esercizio di un diritto costituzionalmente riconosciuto, ma che assume rilevanza penale in virtù del fine perseguito (dolo specifico) dall’agente (es. associazione sovversiva). Il ricorso al dolo specifico è inammissibile quando si riduce ad una finalità meramente psicologica che non riesce a incrementare l’idoneità lesiva del fatto materiale.

 

SINDACATO DI LEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE (domanda esame + sent. 394/2006)

A norma dell’art 28 l. n 87/1953 “il controllo di legittimità della Corte Costituzionale esclude ogni valutazione di natura politica e ogni sindacato sull’uso del potere discrezionale del Parlamento”. Questi limiti di sindacato non valgono però, anche in materia penale, e il modello di controllo di legittimità adottato, si incentra sul rapporto tra norma penale denunciata e l’esercizio di libertà costituzionalmente garantite. L’applicazione di questo modello ha dato luogo a 3 tipologie di pronunce.

Sentenze di rigetto.

Sono la maggior parte. La Corte ha, infatti, salvato molte fattispecie di matrice autoritaria del codice Rocco contrastanti con i diritti fondamentali, facendo leva sul rilievo che tali fattispecie sarebbero finalizzate alla tutela di beni di rango costituzionale (es. reati di opinione, bestemmia)

Sentenze manipolative del bene protetto.

Sono sentenze con cui la Corte ha conservato nell’ordinamento, figure di reato sospettate di contraddire i principi costituzionali, riformulando l’oggetto della tutela in modo da renderlo + compatibile con la Costituzione. (Es. RELIGIONE. Nella concezione originaria la religione è tutelata quale bene funzionale allo stato fascista, la Corte ha mantenuto in vita le norme penali denunciate, ridefinendo l’oggetto della tutela e ha enucleato come nuovo bene protetto, il sentimento religioso come espressione della personalità del singolo credente. Es. SCIOPERO. Le norme sullo sciopero tutelavano l’economia corporativa del regime fascista, divenuto lo sciopero un diritto costituzionalmente garantito, la Corte ha salvato la norma elevando a nuovo oggetto di protezione “l’ordine costituzionale”).

La legittimità della ridefinizione del bene giuridico deve sottostare a limiti molto rigorosi:

LIVELLO DI UNIVOCITA’. La ridefinizione è lecita se essa discende automaticamente e univocamente dall’applicazione delle norme costituzionali coinvolte, per cui la nuova interpretazione si impone come quasi obbligata. La riformulazione è il risultato di una reinterpretazione costituzionalmente orientata. L’opera di riformulazione, quindi, è indebita tutte le volte che il ricorso ai principi costituzionali lascia aperta la scelta tra più soluzioni, per cui l’interpretazione finale presuppone un’ opzione politica, che è riservata solo al legislatore.

RISPETTO DEL TENORE LETTERALE. La riformulazione del bene protetto deve sempre risultare compatibile con lo schema formale del fatto di reato.

 

Sentenze di accoglimento.

Sono la minor parte e sono sentenze con cui la Corte riconosce l’illegittimità della norma penale in questione, la quale dipende dalla sua attitudine a comprimere diritti e libertà costituzionalmente garantiti, senza che tale incidenza possa considerarsi giustificata dall’esigenza di tutelare altri beni o interessi costituzionalmente rilevanti. (es. sent. N 269/1986 con cui la Corte ha dichiarato incostituzionale il reato di eccitamento all’emigrazione perché in contrasto con l’art 35 4°c che afferma la libertà di emigrazione.)

La concezione costituzionalmente orientata del bene giuridico comporta che:

Sul versante delle direttive di tutela volte a circoscrivere l’area di punibilità, non possono essere legittimamente elevati a reato fatti che corrispondono all’esercizio di libertà fondamentali garantite dalla Costituzione, a meno che non si tratti di incriminazioni poste a tutela di espliciti interessi- limite o di altri interessi comunque dotati di rilevanza costituzionale.

Sul versante delle direttive di tutela volte a dilatare l’area di punibilità, il legislatore non è legittimato a incriminare l’immoralità in sé, perché non è compito dello Stato educare coercitivamente i cittadini adulti.

 

2.6. ORIENTAMENTI SUL RUOLO DEL BENE GIURIDICO

Hans Welzel sostiene che il compito primario del diritto penale consiste nel formare gli atteggiamenti etico sociali dei cittadini, al fine di favorirne la disponibilità psicologica a rispettare le leggi: quindi, la protezione del bene giuridico sarebbe un obiettivo indiretto, incluso nello scopo primario. Tale tesi non è da condividere perché compito del diritto penale non è formare le coscienze dei cittadini adulti, incriminando comportamenti anche privi di reale minaccia al bene protetto.

Amelung tenta di riproporre la dottrina della dannosità sociale, per cui il reato sarebbe definibile più che come fatto lesivo di un bene giuridico, come un fatto socialmente dannoso. “Dannoso” viene definito un fenomeno disfunzionale che impedisce o frappone ostacoli a che il sistema sociale risolva i problemi della sua conservazione.

Jacobs condivide con Amelung il tentativo di trapiantare nel diritto penale la teoria sistemica di Luhmann. Secondo Jacobs, il compito del diritto penale risiederebbe + che nella protezione dei beni giuridici, nel confermare la validità o obbligatorietà della norma violata, quindi bene giuridico sarebbe la pratica vincolatività della norma penale. Secondo Jacobs, assumerebbe rilievo non tanto un comportamento inteso come mero accadimento esteriore che lede un bene concepito, a sua volta, come un oggetto materiale del mondo esterno. Rileverebbe piuttosto, un comportamento da considerare quale accadimento significativo sul piano dell’interazione sociale e il “significato” consisterebbe nel rappresentare la negazione della norma penale. Lo scopo del diritto penale finirebbe col consistere nella tutela di se stesso.

Hassemer tende a ricomprendere nella teoria del bene giuridico, anche lo studio delle condizioni empiriche che ne assicurerebbero il successo pratico. L’ obiettivo principale sarebbe individuare i fattori sociali (frequenza della condotta criminosa che viene in questione, intensità del bisogno di preservare l’oggetto meritevole di tutela, intensità della minaccia contro di esso) che abitualmente presiedono al processo legislativo di penalizzazione della condotta umana. Quindi, una politica dei beni giuridici dovrebbe sollecitare mutamenti legislativi che non contrastino troppo con le concezioni sociali predominanti.

Oggi si avverte l’esigenza di aggiornare la tradizione illuministica in modo da fornire modelli di legittimazione che siano all’altezza dei compiti che il diritto penale è chiamato ad assolvere. In conformità a tale idea il reato è configurabile come un fatto che offende o pone in pericolo i beni giuridici (principio di offensività o lesività)

 

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