L’art. 51 codifica anche la pacifica scriminante del qui iure suo utitur neminem leadit. Tale disposizione, comunque, è puramente dichiarativa (inutile) di una realtà già operante in forza del principio di non contraddizione.
In materia si pongono quattro ordini di problemi, concernenti:
- l’individuazione della norma sul diritto scriminante. Per poter individuare, tra le tante norme, quelle che sono scriminanti occorre:
- che la norma sul diritto e quella penale diano luogo ad una convergenza di norme in conflitto.
- che la norma sul diritto prevalga su quella incriminatrice, in modo tale che risulti essa sola applicabile al fatto in questione.
I criteri per accertare se la norma sul diritto limiti o sia limitata da quella penale non sono offerti né dal principio di non contraddizione, né dall’art. 51. e quindi, dovendo essere ricavati sul piano dei rapporti tra norme, consistono nei criteri:
- gerarchico.
- cronologico.
- di specialità.
- l’individuazione del concetto di diritto scriminante. Dato che l’ordinamento giuridico non può punire le attività umane che esso stesso autorizza, il concetto di diritto scriminante va inteso nella sua massima estensione, ossia come sinonimo di facoltà giuridica, qualunque sia la varietà di denominazione legislativa o scientifica della stessa.
- l’individuazione delle fonti del diritto. Anche rispetto al diritto scriminante si è sempre ritenuto che le fonti possano essere la (a) legge extrapenale, la (b) legge statuale, la (c) legge regionale, il (d) regolamento, la (e) consuetudine, il (f) provvedimento giurisdizionale, l’(g) atto amministrativo e il (h) contratto privato.
- l’individuazione dei limiti del diritto. Tale diritto, chiaramente, scrimina nei limiti in cui è giuridicamente riconosciuto, quindi, in particolare:
- per i diritti previsti dalla legge ordinaria, i limiti si desumono non solo dalla fonte da cui il diritto promana, ma dall’intero ordinamento (es. legge penale).
- per i diritti previsti dalla Costituzione, al contrario, i limiti si desumo solo a livello costituzionale, non potendo essere ricavati dalla norma penale.
I limiti previsti dalla Costituzione, inoltre, possono essere interni (o logici), ossia ricavabili dalla stessa ratio essendi del diritto, ed esterni, ossia volti a salvaguardare altri interessi costituzionali.
Ogni diritto reale o personale implica la facoltà di difesa dello stesso mediante la predisposizione di offendicula, ossia di mezzi di difesa contro gli aggressori ed idonei a ledere la vita e l’integrità fisica altrui (es. filo spinato, armi automatiche). Il fondamento della legittimità della predisposizione degli offendicula, quindi, è insito nello stesso diritto, tuttavia tale legittimità presenta un duplice limite:
- la proporzione tra la potenzialità offensiva dell’offendicula e il valore del bene difeso.
- la possibilità di salvaguardare l’incolumità dei terzi non aggressori (es. non insidiosità, non invisibilità).
Circa il fondamento della non punibilità delle offese da offendicula, esso non può essere dato né dal solo esercizio del diritto né dalla sola legittima difesa, perché non consentono di scriminare, il primo, le offese arrecate da offendicula non conformi ai suddetti limiti, e la seconda, le offese arrecate ai terzi non aggressori. Occorre invece distinguere tra:
- offese provocate al non aggressore, per le quali, trovandosi in presenta di un’attività difensiva giuridicamente autorizzata, non si ha responsabilità, a patto che il soggetto abbia predisposto gli offendicula nel rispetto delle regole cautelati suddette.
- offese provocate all’aggressore, che sono scriminate sulla base della legittima difesa, a patto che al momento in cui l’offendicula entra in azione ne esistano gli estremi.