“Le disposizioni di questo articolo non si applicano altresì nei casi di decadenza e di mancata ratifica di un D.L. e nel caso di un D.L. convertito in legge con emendamenti”. Nel sistema precostituzionale, il D.L., se non era presentato entro il termine prescritto alle Camere per la conversione, o se non era convertito, decadeva ex nunc (no ex tunc). Era allora giustificabile un caso del genere di successione di norme penali nel tempo. Ora il costituente ha cambiato la disciplina, prevedendo che i D.L. non convertiti ex 77 perdono efficacia ex tunc, nonché che il Governo li può adottare solo in casi straordinari di necessità/urgenza. I progetti di legge del ‘49, ‘56 e ‘59 hanno evitato il problema se questo meccanismo potesse esser ricondotto a quello della successione della legge nel tempo, sia perché con una lettura affrettata della Costituzione si credette nel ’49 scomparso il D.L. nel nostro ordinamento, sia perché ci si accorse nei successivi disegni di legge della complessità del problema: ciò emergeva chiaramente quando si consideri il caso parallelo della sentenza di Corte Costituzionale che sancisce l’illegittimità Costituzione di una norma penale, per cui sia il D.L. non convertito che l’invalidazione di norma penale di Corte Costituzionale , prevedono la cessazione dell’efficacia ex tunc: a ciò si arrivò con queste analisi:
Lettura approfondita 136 Costituzione. ”Quando Corte Costituzionale dichiara illegittimità Costituzione di una norma di legge o atto con forza di legge, la norma cessa di aver efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione”. A prima vista sembrava stabilire la cessazione ex nunc. Si arrivò ad una interpretazione ex tunc, per cui la dicitura dell’ultima parte dell’art va intesa come “la legge invalidata non può a partire dal giorno successivo alla sentenza di illegittimità, esser applicata ai fatti verificatisi prima della pronuncia della sentenza”.
Intervento della legge 87/1953. La l.87/1953 ha definitivamente chiarito il discorso: l’art 30 dice infatti che le norme dichiarate incostituzionali non possono aver applicazione dal giorno successivo (così si è voluto dire che per i rapporti anteriori non coperti dal giudicato, l’inefficacia ha effetto retroattivo). Ora però ci troviamo davanti a una situazione per cui la Costituzione avrebbe disposto l’abrogazione della legge illegittima e l’art 30 (legge ordinaria) avrebbe trasformato questo effetto abrogante(ex nunc) in un annullamento con efficacia ex tunc. Per Gallo il regime dell’art 30 era già implicito nel 136 Costituzione. Inoltre per la disciplina ex 136 sia per il D.L. non convertito si deve parlare di annullamento che travolge ogni effetto della legge illegittima e quindi anche quello eventualmente abrogativo della legge anteriore, che tornerà in vigore(re-viviscenza della norma) anche se più sfavorevole per il reo, in quanto con l’annullamento non si è mai verificata una successione di leggi nel tempo. Per Gallo in materia penale però ciò non può esser assolutamente vero: infatti ci sarebbero conseguenze gravi per la certezza del diritto e per la tutela dei singoli che si vedrebbero esposti a conseguenze penali per aver tenuto comportamenti considerati leciti da norme efficaci quando questi comportamenti furono posti in essere. Secondo Gallo quindi il discorso generale vale solo a patto di non dare applicazione alla legge anteriore più sfavorevole che si profila dopo l’annullamento. Tutto ciò lo otteniamo da un’interpretazione sistematica tra 77 e 136 coordinata con quella del 25: tutto ciò alla stregua di una corretta interpretazione della ratio del 25: da ciò si deduce che gli altri due art dovranno coordinarsi col 25, perchè quest’ultimo rappresenta un principio fondamentale dell’ordinamento.
Problema della sorte della sentenza emanata su base di un D.L. decaduto o una legge poi invalidata. Gallo ritiene che la cessazione ex tunc degli effetti del D.L. non convertito non abbia alcuna ripercussione sulle sentenze passate in giudicato, in quanto la “intangibilità della cosa giudicata” deriva non dalla legge in base a cui la sentenza è stata emanata, ma dalla sentenza stessa. Per quanto riguarda la legge invalidata, sorge un problema per quello che riguarda il contrasto che si instaurerebbe tra disciplina ordinaria e conseguenze che essa porterebbe in campo penale. L’art 30 dice che quando in applicazione della norma dichiarata incostituzionale. È stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano l’esecuzione e ogni effetto penale: per Gallo questa è una soluzione apparente più che reale, sia perchè non si vede come una norma non Costituzione possa dettare una disciplina contrastante con quella che sulla stessa materia ha dettato una norma cos: solo in questo caso si avrebbe un conflitto tra Costituzione e leggi ad essa successiva. In pratica non si può prendere alla lettera questa legge: cadrà il giudicato, la fattispecie concreta sarà regolata dalla fattispecie più favorevole, anche se invalida: non sarà allora necessario un nuovo giudizio sulla base della legge invalidata (interpretazione restrittiva del 30). Il 30 per Gallo varrà sia per le sentenze pronunciate in virtù di una legge illegittima che avesse incriminato ex novo un fatto prima non costituente reato, sia anche per le sentenze emanate sulla base di una legge che avesse solo modificato un’incriminazione precedente: si riferisce quindi a ogni sentenza di condanna che abbia a fondamento una legge penale più sfavorevole per il reo di quella anteriore, che riprende vigore con efficacia ex tunc.
Sen. 51/1985 Corte Costituzionale. con essa è stato dichiarato illegittimo il 4° 2 C.P., nella parte in cui si riferisce ai fatti commessi prima della vigenza del D.L. non convertito, fatti a cui avrebbe dovuto applicarsi il D.L. decaduto(se più favorevole), alla stregua della disciplina invalidata. Quindi ad oggi la applicazione della disciplina del maggior favore non è per la disciplina ex 2° C.P., bensì per il coordinamento tra 77, 136 con 25.