Errore determinato dall’altrui inganno

L’art. 48 stabilisce “le disposizioni dell’articolo precedente si applicano anche se l’errore sul fatto che costituisce reato è determinato dall’altrui inganno: ma il tal caso, del fatto commesso dalla persona ingannata risponde chi l’ha determinata a commetterlo”. (es. A comunica al compagno cacciatore di aver visto la selvaggina rifugiarsi dentro un cespuglio, ove in realtà si è celata una persona; se il cacciatore spara e uccide inconsapevolmente la persona, del reato di omicidio risponderà A che l’ha determinato a commetterlo).

L’errore deve ricadere su di un elemento costitutivo del reato, altrimenti esso non escluderebbe il dolo e la responsabilità permarrebbe. Sono privi, quindi, di efficacia scusante gli errori vertenti sui motivi, sulle circostanze e simili.

L’inganno, deve consistere nell’impiego di mezzi fraudolenti sostanzialmente assimilabili agli artifici e ai raggiri del delitto di truffa: esso può consistere in qualunque artificio o espediente atto a sorprendere l’altrui buona fede. Ciò che conta è che l’inganno provochi nel deceptus una falsa rappresentazione della realtà.

Secondo una parte della giurisprudenza, l’inganno rileverebbe solo quando presenti una particolare idoneità causale a provocare l’errore: il legame causale tra la condotta del decipiens e l’errore del deceptus verrebbe meno, se l’errore fosse evitabile con l’uso della normale diligenza. La tesi finisce però con l’introdurre una arbitraria limitazione della sfera di operatività dell’art. 48.

Secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, l’art. 48 configurerebbe un’ipotesi di autoria mediata: cioè il decipiens si servirebbe del deceptus come mero strumento esecutivo del reato, per cui il vero e unico autore del reato non sarebbe l’esecutore (immediato) del reato, bensì l’autore dell’inganno (autore mediato). La dottrina dell’autoria mediata non ha però una ragion d’essere nel nostro ordinamento: la dottrina italiana ritiene che le ipotesi tassativamente riconducibili alla predetta categoria, siano + correttamente inquadrabili nell’ambito del concorso di persone nel reato.

 

Reato putativo

L’art. 49 comma 1°, stabilisce che “non è punibile chi commette un fatto non costituente reato, nella supposizione erronea che esso costituisca reato”.

Il reato putativo è un fatto criminoso immaginato da chi agisce, ma di fatto inesistente. L’errore di valutazione in cui incorre il soggetto, può derivare da un errore di fatto o di diritto.

Nel caso dell’errore di fatto, es. Tizio che ritiene di impossessarsi di un oggetto altrui, ma per uno scambio di materiale, si impossessa di una cosa propria.

Nel caso dell’errore su legge extrapenale, es. Caio errando nell’interpretazione di una legge civile che disciplina il matrimonio precedentemente contratto (in realtà invalido), crede di commettere bigamia contraendo nuove nozze.

Nel caso di errore su norma penale (o di diritto), es. un soggetto continua a supporre che costituisca reato l’adulterio, o ritenga illecito un rapporto omosessuale … .

la natura putativa del reato può anche dipendere dall’ignoranza di commettere il fatto in presenza di una causa di giustificazione o di discolpa. Ovviamente la convinzione dell’agente di commettere un reato è irrilevante.

 

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