La dottrina penalisti sta si è occupata del concetto di colpevolezza, passando poi a discutere del principio. Sotto il primo profilo l’indagine vuol reperire una nozione di genere rispetto ai cosiddettI “criteri di imputazione soggettiva”. Bisogna cogliere la nota comune al dolo e alla colpa, per arrivare ad una nozione riassuntiva di elementi di fattispecie che consentano di distinguere positivamente le fattispecie caratterizzate dal dato della colpevolezza da quelle di mera responsabilità oggettiva. Si è cominciato a far ciò dal piano della struttura psicologica del dolo e della colpa, imbattendosi però nella contrapposizione tra carattere reale dei processi mentali realizzanti un comportamento doloso e quello puramente virtuale su cui si fonda l’imputazione per colpa. In questo modo per Gallo si torna al punto di partenza: l’ indagine deve ancora cercare una componente di struttura che leghi in un concetto unitario il dolo e la colpa indipendentemente dalla loro funzione.

Ci si chiede se coscienza /volontà, rilevante sia nei fatti dolosi che in quelli colposi, è capace di assicurare l’autonomia dia una nozione riassuntiva dei due criteri di imputazione. La risposta è negativa perchè coscienza/volontà si riscontra anche in condotte non risultanti dolose o colpose nel proseguio della verifica.

Concezione normativa della colpevolezza. Essa è motivata dalla problematicità di un’impostazione puramente psicologica: in pratica la colpevolezza è data dal complesso di elementi che giustificano una valutazione negativa (di disvalore). Il punto critico sta però nella difficoltà a rispondere alla domanda su quale sia il criterio alla stregua di cui si formula il giudizio di riprovevolezza. L’opinione appagante potrebbe esser quella che individua nella colpevolezza la figura di qualificazione globale (ossia dell’intero fatto di reato) caratterizzata dalla violazione di un obbligo in senso stretto, laddove l’antigiuridicità sarebbe la qualificazione dei comportamenti contrastanti con una situazione giuridico-soggettiva di mero dovere. Dovere ed obbligo (rispettivamente categoria di genere e di specie) si differenzierebbero perchè il primo disegnerebbe la situazione giuridico-soggettiva di chi è sottoposto a sanzione. Esprimerebbe quindi solo la necessarietà di una sanzione per l’autore del fatto previsto nella parte condizionante della regola giuridica. l’obbligo invece partirebbe da quelle norme idonee a funzionare come vincolo della volontà dei soggetti cui si rivolgono: questo perchè la fattispecie condizionante ha come elementi essenziali intenzionalità o leggerezza.

La distinzione fra dovere e obbligo non è posta in crisi dalla riferibilità generale oggettiva non misurata sul modello del soggetto agente imposta per gallo dal 27 Costituzione quando enuncia la regola della natura personale della responsabilità penale. Questa riferibilità deve esser presente anche nelle fattispecie che prima della Costituzione si definivano a responsabilità oggettiva e che oggi sono ipotesi di responsabilità anomala. Ora in base a ciò la colpevolezza (come figura di qualificazione di fatti penalmente rilevanti solo se commessi con dolo o colpa)aggiunge qualcosa alla conoscenza o anche solo all’argomentazione giuridica? infatti la nozione reperita (contrapposizione fra antigiuridicità-violazione del dovere e colpevolezza-violazione dell’obbligo) non dice nulla che già non sapessimo già quando diciamo che il fatto rileva solo se “intenzionale” o “colposo”. Quindi la colpevolezza come concetto si butta alle spalle, aprendo lo spazio al principio.

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