Come studio empirico della criminalità delle sue cause e delle sue cause e delle sue caratteristiche la criminologia assurge anzi a scienza e può svilupparsi soprattutto in un momento storico nel quale il diritto penale è orientato allo scopo. Soprattutto dove emerge una visione tecnocratica nella quale la pena appare uno strumento tra i molti per conseguire finalità sociali è destinato a porsi il quesito della idoneità e congruità del mezzo rispetto al fine. La legittimazione della necessità della pena inizia e termina entro la prospettiva delle sue conseguenze utili per l’uomo.

L’attenzione del retribuzionista è concentrata sul passato sul delitto commesso. Un sistema penale di tipo retributivo che si limiti a compensare il male con il male non è certo interessato a penetrare la concreta realtà umana e sociale del reo o vittima. Più in generale un diritto penale retributivo sembra complessivamente disinteressato alle cause del crimine. La retribuzione si chiude dunque a tutto ciò che è altro rispetto all’inflizione del giusto male all’autore del crimine sia questo altro localizzabile nella società oppure già tra le mura del carcere.

La pena retributiva si priva programmaticamente di ogni intendimento di porsi come strumento efficace di lotta alla criminalità. Nel filosofo Kant, quella che si dice retribuzione morale concepita come applicazione della seconda formulazione dell’imperativo categorico manifesta esplicitamente il suo scioglimento da una visione strumentale della pena.

Nonostante le apparenze lessicali, un vero scopo della pena non emerge neppure nel notissimo brano kantiano dell’isola. Anche qui il fondamento della pena resta il delitto già commesso ed è questo delitto a costruire l’unica frazione di realtà cui il retribuzionista volga la propria attenzione. Non diversamente in Hegel: la retribuzione consiste nel togliere il delitto. Si parla in proposito di teorie assolute della pena → la pena deve assolutamente seguire al delitto. Ben diverso un diritto penale genuinamente orientato allo scopo per il quale la pena è posta al servizio di fini umani. Si parla di teorie relative della pena ma questa connotazione ha anche il significato di manifestare un atteggiamento di relativismo nei confronti della pena.

C’è un volgersi dell’attenzione e dell’interesse oltre l’oggetto, ne scaturirà poi, rispetto a tale oggetto un grappolo di interrogativi concatenati, tali da investire la sua idoneità a raggiungere gli scopi che per mezzo di esso ci si propone di conseguire. Idoneità che imporrà di volgersi all’esperienza e alla verifica empirica degli effetti che da tale mezzo conseguono secondo regolarità accertate.

Dalla centralità del momento della verifica empirica discendono ulteriori conseguenze concatenate. Nel momento in cui la pena cessa di porsi come fine ultimo per diventare puro mezzo è del tutto conseguente che la sensibilità per il peso sociale che a essa si annette induca a concepirla come extrema ratio. L’idea relativa della pena determina inoltre l’ingresso nel diritto penale di un prospettiva strategica, di un atteggiamento scientifico e di una esigenza critica e comunicativa.

Questa visione relativa della pena si iscrive del resto nell’idea di politica criminale già prospettata, come emerge da due definizioni di questa idea già menzionate: il complesso sistematico di quei principi secondo cui lo stato ha da condurre la lotta contro il delitto per mezzo della pena e delle istituzioni collegate; l’insieme delle valutazioni e misure della società aventi lo scopo di abbassare il numero delle offese all’ordinamento giuridico-penale.

Le teorie relative della pena si identificano fondamentalmente nella prevenzione generale o speciale, che sono finalità coesistenti e parimenti irrinunciabili. L’orientamento alle conseguenze del diritto penale e il finalismo preventivo delle pene relative sono alla base dell’impulso impresso alla collaborazione tra scienze normative e scienze empiriche. Peraltro ogni indicazione proveniente dal versante empirico in merito alle condizioni per conseguire un’ottimale effettività della sanzione è destinata a trovare un limite ferreo e invalicabile nelle esigenze connesse alla sua liceità ossia in una serie di principi tra i quali innanzitutto quello di proporzionalità, che impedisce di gravare smisuratamente il reo del carico sanzionatorio.

Un’ultima considerazione può integrare il quadro delle implicazioni empiriche connesse alla visione relativa della pena. Se tale visione costituisce premessa e impulso per un’apertura ai dati del reale essa può venire a sua volta acuita e approfondita a una pregiudiziale attenzione verso la concretezza delle conoscenze criminologiche.

 

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