L’art. 50 stabilisce che “non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne”. Tale scriminante è ispirata al tradizionale principio “volenti et consenzienti non fit injiuria”, e ovviamente non c’è ragione per cui lo Stato appresti la tutela penale per un interesse, alla cui salvaguardia il titolare mostra di rinunciare consentendone, appunto, la lesione.

L’ambito di operatività dell’art. 50, va circoscritto alle ipotesi nelle quali il giudice accerta un fatto tipico al completo dei suoi elementi (ipotesi nelle quali il dissenso dell’avente diritto non costituisce un esplicito requisito del fatto di reato): per cui il consenso dell’offeso, ha l’effetto di giustificare un fatto, che altrimenti costituirebbe un illecito penale.

Il consenso qui, non ha natura di negozio giuridico di diritto privato né di diritto pubblico, ma va qualificato come un semplice atto giuridico, cioè un permesso col quale si attribuisce al destinatario, un potere di agire, che non crea alcun vincolo obbligatorio a carico dell’avente diritto e non trasferisce alcun diritto in capo all’agente. Inoltre il consenso è sempre revocabile, a meno che l’attività consentita, per le sue stesse caratteristiche, non possa essere interrotta se non ad avvenuto esaurimento.

 

Requisiti di validità

Perché il consenso esplichi efficacia scriminante deve essere libero o spontaneo: deve quindi, essere immune da violenza, errore o dolo. Dato che il consenso non ha natura negoziale, può essere prestato in qualsiasi modo, può anche essere desunto dal comportamento univoco dell’avente diritto (consenso c.d. tacito) purché sussista al momento del fatto (non scrimina il consenso successivo o la ratifica).

Il consenso è putativo se il soggetto agisce nell’erronea supposizione della sua esistenza (art. 59 comma 4°); la sua efficacia scriminante viene meno ove debba escludersi, in base alle circostanze del caso concreto, la ragionevole persuasione di operare con l’assenso della persona che può validamente disporre del diritto.

Il consenso è presunto quando si può fondatamente ritenere che il titolare del bene lo avrebbe concesso, se fosse stato a conoscenza della situazione di fatto. La giurisprudenza ritiene che scrimini il convincimento putativo di un consenso già in atto, mentre nega la rilevanza al convincimento ipotetico ed eventuale, che il consenso sarebbe stato prestato se richiesto. (es. A si impossessa di alcuni oggetti altrui, desumendo il consenso dell’avente diritto dal rapporto di amicizia e familiarità che lo lega al proprietario degli oggetti. In questo caso l’art. 50 sarebbe inapplicabile, in quanto dall’esistenza di tali rapporti non potrebbe desumersi l’esistenza di un consenso in atto, benché putativo).

La legittimazione

La legittimazione a prestare il consenso spetta:

  • Al titolare del bene penalmente protetto (nel caso di + titolari è necessario il consenso di tutti i cointeressati).
  • Al rappresentante legale o volontario, a meno che la rappresentanza non risulti incompatibile con la natura del diritto e dell’atto da consentire.

Il soggetto legittimato a consentire, deve possedere la capacità di agire (capacità di intendere e di volere da accertare caso per caso), ma basta che il giudice accerti di volta in volta che il consenziente possegga una maturità sufficiente a comprendere il significato del consenso prestato (capacità naturale).

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