Allo stesso fatto di reato possono accedere + circostanze:

  • Si parla di concorso omogeneo nelle ipotesi in cui sono compresenti più circostanze della stessa specie (tutte aggravanti o tutte attenuanti);
  • Si ha concorso eterogeneo quando ad uno stesso fatto di reato accedono contemporaneamente circostanze attenuanti e aggravanti.

Il concorso omogeneo

La disciplina del concorso omogeneo si differenzia, a seconda che si tratti di circostanze a efficacia comune ovvero ad efficacia speciale.

  • Nel caso di circostanze a efficacia comune, l’art. 63 comma 2°, dispone che se concorrono più circostanze aggravanti o più circostanze attenuanti, l’aumento o la diminuzione si opera sulla quantità della pena risultante dall’aumento o diminuzione precedente. Sempre salvi, però, i limiti espressamente previsti: l’art. 66 dispone che, se concorrono più circostanze aggravanti, la pena da applicare per effetto degli aumenti non può superare il triplo del massimo stabilito dalla legge; in ogni caso, non può eccedere i 3 anni se si tratta di reclusione e i 5 anni se si tratta di arresto. Nell’ipotesi di circostanze attenuanti poi, l’art. 67 dispone che la pena da applicare non può essere inferiore a 10 anni se la pena prevista per il delitto è l’ergastolo, mentre negli altri casi non può essere inferiore a un quarto.
  • Nel caso di circostanze a efficacia speciale, l’art. 63 comma 4°, stabilisce che, se concorrono più circostanze aggravanti, si applica la pena stabilita per la circostanza più grave (ma il giudice può aumentarla); mentre al comma 5°, stabilisce che se concorrono più attenuanti, si applica solo la pena meno grave stabilita per le circostanze predette (ma il giudice può diminuirla).

In entrambi i casi, quindi sia nel caso di circostanze a efficacia speciale che di circostanze a efficacia comune:

  • L’art. 63 comma 3° stabilisce che “quando per una circostanza la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato, o si tratta di circostanza ad effetto speciale, l’aumento o la diminuzione per le altre circostanze non opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta.”
  • L’art. 68 dispone che “fuori dai casi di specialità ex art. 15, quando una circostanza aggravante comprende in sé un’altra circostanza aggravante, ovvero una circostanza attenuante comprende in sé un’altra circostanza attenuante, è valutata a carico o a favore del colpevole soltanto la circostanza aggravante o la circostanza attenuante, la quale importa, rispettivamente, il maggiore aumento o la maggiore diminuzione della pena”. L’assorbimento opera in base ad un giudizio di valore.

Il concorso eterogeneo

Rispetto al concorso eterogeneo, il legislatore del ’30 ha introdotto il diverso principio del bilanciamento. A norma dell’art. 69, infatti, il giudice deve procedere ad un giudizio di prevalenza o equivalenza tra le circostanze eterogenee, con la conseguenza, rispettivamente, di far luogo all’applicazione delle sole circostanze ritenute prevalenti, ovvero della pena che sarebbe stata inflitta in assenza di circostanze.

Tale innovazione fu in origine motivata dalla ritenuta necessità che il giudice avesse una visione organica e completa del colpevole e del reato commesso, in modo che la pena da applicare in concreto fosse, per quanto possibile, “il risultato di un giudizio complessivo e sintetico sulla personalità del reo e sulla gravità del reato, anziché l’arido risultato di successive operazioni aritmetiche”.

Nell’originaria formulazione dell’art. 69, il giudizio di bilanciamento era limitato, tuttavia, alle circostanze ad efficacia comune: l’esclusione delle circostanze a efficacia speciale era motivata dall’esigenza di sottrarre al sindacato valutativo del giudice la gravità di circostanze già autonomamente valutate dal legislatore.

A seguito della riforma del ’74, il giudizio di comparazione non incontra + alcun limite: in base al 4° comma dell’art. 69 riformato, le disposizioni che consentono il giudizio di prevalenza o equivalenza infatti, “si applicano anche alle circostanze inerenti alla persona del colpevole ed a qualsiasi altra circostanza per la quale la legge stabilisce una pena di specie diversa o determini la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato”.

Tra le motivazioni principali di una tale dilatazione del giudizio di bilanciamento, rientra il proposito di attenuare l’eccessivo rigore sanzionatorio di diverse fattispecie del codice Rocco, in particolare del trattamento dei furti aggravati da circostanze speciali, in quanto tali originariamente esclusi dalla valutazione giudiziale di prevalenza o equivalenza.

Sono però state mosse anche riserve circa la riforma del 74: in primo luogo, il legislatore ha finito col delegare al giudice in sede di commisurazione della pena, il compito di adeguare il trattamento sanzionatorio alla mutata sensibilità sociale e ne è conseguita un’eccessiva dilatazione del potere discrezionale del giudice. In secondo luogo, la nuova disciplina ha effetti quasi sconvolgenti rispetto ad alcuni istituti (es. i delitti aggravati dall’evento come la rissa aggravata dalla morte di uno dei contendenti, art. 588: ove si ammetta la natura circostanziale dell’evento morte, e il giudice ritenga di dover bilanciare l’aggravante con un’attenuante, il reo potrebbe cavarsela con una sola multa)

Il problema dei criteri del giudizio di bilanciamento

Dato che il legislatore ha omesso di indicare i parametri del giudizio di bilanciamento, sorge il problema di individuare i criteri che dovrebbero guidarlo.

Secondo l’orientamento prevalente, i criteri di valutazione relativi alla comparazione di circostanze, andrebbero ricavati dagli stessi parametri di cui all’art. 133, che disciplina il potere discrezionale del giudice nella commisurazione della pena. La tesi però si espone all’obiezione che l’art. 133 si limita ad enunciare una serie di elementi di cui tener conto in sede di commisurazione della pena, senza fissare alcuna gerarchia nell’eventualità di un conflitto tra tali elementi: se tale norma non riesce a risolvere i conflitti di valutazione nel tipico ambito a essa riservato, a maggior ragione non lo potrà se si tratta di formulare il giudizio di bilanciamento tra circostanze in senso tecnico.

L’orientamento di minoranza, sarebbe invece preferibile, e stabilisce che il giudizio di comparazione andrebbe effettuato mettendo a reciproco confronto le circostanze eterogenee, considerate però non nella loro dimensione astratta, bensì nella loro specifica intensità accertata in concreto. Anche tale criterio però, non è suscettivo di applicazione generale e certa. Infatti da un lato, vi sono circostanze talmente eterogenee tra loro da non consentire una valutazione basata su parametri omogenei; dall’altro lato, lo stesso criterio della intensità in concreto non è esente da apprezzamenti soggettivi ed arbitrari.

Il giudizio di comparazione è stato modificato con la riforma del 2005, che è intervenuta sull’art. 69, proprio allo scopo di vincolare il giudice ad un maggior rigore repressivo in sede di comparazione, eliminando, in sede di bilanciamento, gli orientamenti di fatto sia in merito all’eccesso di discrezionalità, sia in merito alla sottovalutazione del disvalore della recidiva. La nuova legge ha inserito un ultimo comma aggiuntivo all’art. 69 il quale introduce un divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulle circostanze aggravanti in due ipotesi:

  • Nei casi di recidiva reiterata di cui al nuovo art. 99 comma 4°
  • Nei casi previsti dagli artt. 11 e 112 comma 1° n.4, relativi alla determinazione al reato di persone non imputabili o non punibili.

La legge del 2005 non si è spinta però sino al punto di impedire per legge, al giudice anche il giudizio di equivalenza tra circostanze concorrenti.

 

Applicazione delle circostanze e commisurazione della pena

– art. 133 cp: criteri di imputazione e commisurazione dell’entità delle circostanze di reato (e della loro effettiva influenza su reato) e criteri discrezionali di commisurazione della pena al reo da parte del giudice

– NE BIS IN IDEM = divieto di imputare due volte allo stesso soggetto, un medesimo fatto di reato: ogni soggetto agente può essere punito una sola volta per il fatto di reato commesso (vale anche per valutare le circostanze di reato, non computabili due volte ai fini della comminazione della pena)

– inoltre (art. 133 cp): lo stesso fatto non è computabile 2 volte (come reato e come circostanza, magari aggravante)

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