Circa la complessa struttura della colpevolezza, la concezione normativa richiede:
a) l’imputabilità.
b) la conoscenza o, quantomeno, la conoscibilità del precetto penale.
c) il dolo o la colpa.
d) l’assenza di cause di esclusione della colpevolezza.
La colpa costituisce la forma di colpevolezza, rispetto al dolo, di più (1) tardiva acquisizione, (2) meno grave, (3) legislativamente eccezionale, (4) minoritaria e (5) sussidiaria, dal momento che una responsabilità colposa sarebbe illogica senza la previsione per lo stesso fatto anche della responsabilità dolosa.
Relativamente al concetto di colpa, tuttavia, si sono posti vari problemi nel corso della storia:
- il primo problema riguarda la stessa legittimità della punizione dei fatti colposi. In una visione meramente psicologica della colpevolezza, infatti, tale legittimità è stata contestata, dato che nella colpa manca la volontà e, di conseguenza, anche la rappresentazione del fatto. La punizione dei fatti colposi, tuttavia, ha trovato piena giustificazione in una visione normativa della colpevolezza: la colpa, infatti, costituisce incontestabilmente una forma di colpevolezza, seppur più lieve, e non rientra quindi nel campo della responsabilità oggettiva.
- il secondo problema riguarda la punibilità del comportamento colposo come tale, a prescindere dal verificarsi del danno, che dipende soltanto dalla cieca sorte . Se non ci sono dubbi che, secondo un diritto penale soggettivistico, il valore sintomatico della volontà colpevole o della pericolosità sociale sta nel comportamento colposo, è pur vero che un sistema penale su basi oggettivistiche non può non distinguere tra la mera infrazione colposa e quella seguita dall’evento dannoso.
- il terzo problema riguarda il trattamento, rispetto al quale il diritto penale è tradizionalmente orientato nel senso di considerare il delitto colposo come meno grave e, perciò, sanzionabile più lievemente di quello doloso. Nel reato colposo, tuttavia sebbene sia minore la colpevolezza rispetto al reato doloso, non è necessariamente minore anche la pericolosità sociale dell’autore.
Vissuto fino ad un recente passato ai margini del diritto penale, per la persistente idea che nessun biasimo fosse ad esso collegabile, il reato colposo, attualmente, si sta ponendo non solo al centro della dogmatica e della criminologia, ma anche della politica criminale, richiamando sempre più l’attenzione sulla gravità e sulla frequenza di tali criminalità.
A differenza di altri codici, il codice italiano offre una precisa definizione del delitto colposo, estendibile anche alle contravvenzioni (art. 43 co. 2). La nozione offerta dall’art. 43 co. 1, tuttavia, risulta essere incompleta, perché esprime l’ipotesi comune di colpa, ma non comprende anche la colpa nei reati di mera condotta e la c.d. colpa impropria, di conseguenza deve essere integrata dal contenuto di altri articoli (es. artt. 47, 55, 59, 83).
In relazione all’essenza della colpa, la più esauriente concezione è quella della duplice dimensione (o misura) dell’imputazione colposa:
- oggettiva, consistendo il primo elemento essenziale nella condotta violatrice della regola cautelare, volta a salvaguardare i beni giuridici.
- soggettiva, consistendo il secondo elemento essenziale nell’esigibilità dell’osservanza di tale regola da parte dell’agente.
L’essenza unitaria della responsabilità colposa, quindi, può ravvisarsi nel rimprovero al soggetto per aver realizzato, involontariamente ma pur sempre attraverso la violazione di regole cautelari di condotta, un fatto di reato, che egli poteva evitare mediante l’osservanza, esigibile, di tali regole.
Tre sono, pertanto, gli elementi costitutivi e qualificanti della colpa:
- l’elemento negativo della mancanza della volontà del fatto materiale tipico.
- l’elemento oggettivo dell’inosservanza delle regole di condotta (non solo norme ma anche regole di diligenza, prudenza e perizia), dirette a prevenire danni a beni giuridici.
- l’elemento soggettivo dell’attribuibilità di tale inosservanza all’agente.