Rispetto ai reati omissivi, l’art. 40 al co. 1 ammette la causalità anche tra omissione ed evento, mentre al co. 2 specifica che il rapporto della causalità omissiva con la causalità attiva non è di identità, ma di equivalenza.
Per l’equiparazione del non impedire al cagionare occorre:
- che secondo la miglior scienza ed esperienza del momento storico l’evento sia conseguenza certa o altamente probabile del mancato adempimento.
- che sussista per il soggetto l’obbligo giuridico di impedire l’evento (obbligo di garanzia).
Per meglio comprendere come il non impedire possa essere equiparato al cagionare, occorre ricordare tre principali concetti:
- che anche la causalità omissiva appartiene alla Scienza causale, dal momento che costituisce dato di conoscenza anche l’idoneità di certe azioni ad interrompere processi causali in atto.
- che anche la causalità omissiva è una categoria dinamica, ossia variabile in base ai tempi.
- che un ambito sempre più ampio di accadimenti viene a cadere sotto il dominio umano, il quale può provvedere ad impedirne la realizzazione.
Tale impedibilità dell’evento, in particolare, è ciò che eleva l’inerzia a condizione negativa del medesimo, affiancandola così alle condizioni positive (es. rispetto allo scontro, accanto alle condizioni positive del treno e dell’auto che marciano secondo certe direzioni, acquista rilevanza anche la condizione negativa dell’omesso abbassamento delle sbarre del passaggio a livello).
Per cogliere i rapporti tra causalità attiva e causalità omissiva occorre evidenziare:
- l’irriducibile diversità di essenza:
- perché la causalità omissiva viene ritenuta causalità non naturalistica, perché essa, essendo naturalisticamente un non facere, è priva di ogni efficacia causale.
- perché la causalità omissiva è causalità soltanto normativa, in quanto è la legge (art. 40 co. 2) che interviene ad equiparare il non impedire al cagionare.
- perché la causalità omissiva è una causalità ipotetica rispetto alla causalità attiva.
Tale irriducibilità di essenza, in particolare, resta irriducibile:
- poiché la causalità attiva si fonda su tre dati reali (l’azione, il processo causale e l’evento) e da un dato ipotetico (il venir meno dell’evento ipotizzando l’eliminazione dell’azione).
- poiché la causalità omissiva è doppiamente ipotetica, in quanto si fonda su due dati reali (il processo causale e l’evento) e due dati ipotetici (il venir meno dell’evento ipotizzando l’eliminazione della causa e l’azione impeditiva).
- la validità delle regole esplicative della causalità attiva anche per quella omissiva, cosa questa imposta non solo dall’equivalenza ex art. 40 co. 2, ma anzitutto dall’assenza di ragioni logiche per differenziare la portata della causalità omissiva (es. pari grado di probabilità dell’evento, pari rigore di accertamento).
- la necessità di adeguamenti di dette regole alle peculiarità della causalità omissiva. Anche per essa valgono:
- il metodo della sussunzione del caso sotto le leggi scientifiche o, comunque, sotto un sapere scientifico. Si tratta tuttavia di una doppia sussunzione: prima per individuare la causa dell’evento, e poi per asserire che l’azione omessa avrebbe impedito, con certezza o elevata probabilità, l’evento.
- il procedimento dell’eliminazione mentale per controllare se l’omissione sia condizione dell’evento. Tale procedimento, tuttavia, deve essere operato con la sostituzione mentale dell’omissione con l’azione impeditiva (addizione mentale), per cui, sostituendo questa a quella, l’evento non si sarebbe verificato con certezza o con elevata probabilità.
Similmente a quanto detto per l’azione, l’omissione non è causa equiparata dell’evento:
- quando non ne è condizione, essendo l’evento conseguenza di una serie causale autonoma (es. casi di inutilità del comportamento attivo).
- quando, pur essendo condictio dell’evento, questo è conseguenza altamente improbabile dell’omissione medesima, oppure evento eccezionale (es. il bimbo, non alimentato dai genitori, che resta vittima di uno scontro automobilistico letale lungo il percorso per l’ospedale).