La violenza, costituendo, assieme alla frode, una delle forme più tipiche di aggressione degli altrui beni, è sempre stata oggetto di considerazione da parte del diritto penale e della criminologia. Sebbene violenza e frode costituiscono anche mezzi per sopprimere, coartare o carpire le deliberazioni di volontà, occorre operare una distinzione:
- la violenza sta al centro dei delitti contro la libertà, caratterizzando la maggior parte di essi;
- la frode presenta una rilevanza penale frammentaria, venendo essa in considerazione solo in rapporto a specifiche ipotesi ritenute dal legislatore plurioffensive e collocate sotto oggettività giuridiche prevalenti, diverse da quella della libertà (es. truffa, fronde fiscale).
Sotto il profilo concettuale, la violenza può consistere:
- nella violenza personale, quando ha come oggetto immediato la persona, la quale va a sua volta distinta in violenza fisica e in violenza psichica (o minaccia);
- nella violenza reale, quando ha come oggetto immediato una cosa.
Sotto il profilo finalistico, la violenza può essere usata:
- come violenza-fine, ossia con lo scopo immediato di arrecare quel danno in essa stessa insito, la quale, come tale, costituisce la condotta tipica e viene incriminata in se e per sé (es. percosse, omicidio, lesioni);
- come violenza-mezzo, per incidere sulla volontà in modo tale che il soggetto faccia, ometta o tolleri qualche cosa, la quale, come tale, costituisce una modalità della condotta tipica e viene incriminata in questa sua funzione coercitiva (es. violenza sessuale, estorsione).
In tale tipologia di violenza rientrano:
- la violenza personale fisica, che è venuta abbracciando tutte le ipotesi in cui si pone la persona nell’incapacità, totale o parziale, di autodeterminazione, e quindi:
- la violenza personale propria, quale energia fisica usata per incidere su tale capacità e consistente, ad esempio, nelle attività del percuotere, ferire, privare della libertà di movimento;
- la violenza personale impropria, che abbraccia la serie di più moderni e subdoli comportamenti violenti, non riconducibili ai tradizionali concetti di violenza fisica, ma pur sempre caratterizzati dall’effetto psicologico della coazione della volontà (spostamento del concetto di violenza dal mezzo usato al risultato ottenuto) (es. ipnosi, uso di sostanze lacrimogene);
- la minaccia, che si incentra sul duplice requisito:
- della prospettazione ad una persona di un male futuro o prossimo, nuovo o prosecutorio di uno stato penoso preesistente;
- della prospettazione della dipendenza di tale male dalla volontà dell’agente, dovendo esso apparire causalmente ricollegabile ad un suo comportamento.
Circa le modalità, la minaccia può essere effettuata in tutte le forme ed i modi psicologicamente idonei a coartare l’altrui volontà. Circa l’idoneità, la minaccia deve avere, quali ne siano le modalità, un’effettiva potenzialità coattiva, ossia apparire capace di creare uno stato di costringimento, da valutarsi secondo un criterio sia oggettivo (circostanze concrete) che soggettivo (caratteri dei soggetti coinvolti).
Circa l’effetto psicologico, esso consiste nella coazione, assoluta o relativa, che può essere dovuta al metus (es. minaccia alla persona), ma che può sussistere anche senza un’autentica paura, come nel caso in cui il soggetto scelta ponderatamente la soluzione che gli risparmia il male minacciato (es. minaccia al patrimonio);
- la violenza reale, che rientra nella violenza-mezzo se l’energia fisica sulla cosa viene usata per coartare l’altrui volontà. Quando la legge parla di costrizione mediante violenza o minaccia, quindi, nel generico concetto di violenza rientra non solo quella fisica, ma anche quella sulle cose.
Agli effetti della legge penale, si ha violenza sulla cosa qualora questa venga:
- danneggiata, ossia distrutta, dispersa, deteriorata o resa in tutto o in parte inservibile;
- trasformata, ossia non deteriorata ma comunque modificata nella sua funzione, potendo consistere la modifica anche in un suo miglioramento;
- mutata nella destinazione, dovendosi parlare di immutazione con riguardo non alla destinazione naturale, ma alla destinazione specifica, attribuita alla cosa dell’avente diritto.
In rapporto alla distinzione tra reati patrimoniali di aggressione unilaterale e reati patrimoniali con la cooperazione della vittima, è fondamentale distinguere, nell’ambito della violenza come mezzo di coazione della volontà, tra:
- la violenza che produce una coazione assoluta, con conseguente annullamento della volontà e riduzione del soggetto a mero strumento materiale (non agit sed agitur);
- la violenza che produce una coazione relativa, ossia che lascia quel tanto di potere di scelta indispensabile per una cooperazione non meramente meccanica, ma pur sempre cosciente e volontaria.
Tale distinzione, tuttavia, non può farsi corrispondere alla rigida contrapposizione tra vis phisica vel absoluta (autentica violenza) e vis moralis vel relativa (minaccia): si oppone, infatti, la realtà legislativa, che usa la formula mediante violenza o minaccia sia rispetto ai reati di aggressione unilaterale (es. rapina) sia rispetto a reati con cooperazione della vittima (es. estorsione). Una violenza, peraltro, può tranquillamente inquadrarsi nel meccanismo di una coazione relativa (es. tortura), così come una minaccia può dar luogo ad una coazione assoluta, allorché provochi un terrore paralizzante tale da ridurre la vittima in uno stato di passività.