I rapporti familiari nei delitti contro il patrimonio sono disciplinati dall’art. 649, il quale prevede il doppio regime della non punibilità o della punibilità a querela della persona offesa per delitti patrimoniali commessi a danno di congiunti. La ratio dello speciale trattamento previsto per tali reati viene ravvisata in ragioni di opportunità, consistenti nel fatto che l’intimità della vita familiare conferisce a tali azioni un peculiare carattere, e che la punibilità o la perseguibilità di ufficio possono determinare un pregiudizio superiore a quello che può derivare dalla mancata punizione.
Il limite negativo di tale trattamento è che deve trattarsi di reati patrimoniali commessi senza violenza personale, sancendo l’art. 649 co. 3 che le disposizioni di questo articolo non si applicano ai delitti preveduti dagli artt. 628, 629 e 630 e ad ogni altro delitto contro il patrimonio che sia commesso con violenza alle persone , stante la particolare gravità degli stessi.
La causa di non punibilità (non scriminante ma causa di esclusione della pena) è prevista dall’art. 649 co. 1 nei confronti di chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti da questo titolo in danno:
- del coniuge non legalmente separato;
- di un ascendente o discendente o di un affine in linea retta, ovvero dell’adottante o dell’adottato;
- di un fratello o di una sorella che con lui conviva .
La procedibilità a querela è prevista dall’art. 649 co. 2 nei confronti dei fatti preveduti da questo titolo […] se commessi a danno del coniuge legalmente separato, ovvero del fratello o della sorella che non convivano coll’autore del fatto, ovvero dello zio o del nipote o dell’affine di secondo grado con lui conviventi .
Perché sussista la causa di non punibilità o la causa di procedibilità a querela, quindi, occorre:
- che il reato sia commesso in danno di uno dei soggetti indicati dall’art. 649, da individuarsi in base all’oggetto giuridico. Tale causa, quindi, non sussiste se il fatto è commesso in danno anche di soggetti estranei;
- che determinati soggetti passivi siano con l’agente in rapporto di convivenza, da intendersi come comunanza stabile di vita (nucleo familiare unico);
- che i rapporti familiari sussistano, almeno secondo la comune opinione, al momento della commissione del reato;
- che il familiare commetta il reato da solo all’interno della famiglia, ma non in concorso con terzi estranei, venendo altrimenti meno la ratio opportunistica del trattamento di favore.