Atto sessuale è il fulcro della nuova fattispecie incriminatrice. Comprende tanto la congiunzione carnale quanto gli atti di libidine violenta. Un vantaggio a questa unificazione va attribuito: ha posto fine ai dibattiti su cosa dovesse intendersi per congiunzione carnale:

–          Accezione lata = ogni tipo di coito, penetrazione anche parziale, indipendentemente dal sesso del soggetto passivo

–          Accezione ristretta = solo unione genitale etero. Quindi il coito anale ed orale rientrano tra gli atti di libidine violenta.

Con l’entrata in vigore dell’art. 609 bis, si ripropone anche in riferimento al concetto di atto sessuale il problema relativo alla esatta fissazione del concetto di atto di libidine, al fine di delimitare adeguatamente la sfera del penalmente rilevante dall’irrilevante. A questo proposito si distinguono 3 diversi filoni interpretativi:

1. con l’art. 609 bis il legislatore ha operato un’estensione dell’area di punibilità per l’estrema ampiezza semantico-culturale della locuzione atti sessuali.

2. la nuova norma ha determinato una contrazione dell’area del penalmente illecito, con l’abbandono del riferimento alla libidine.

3. “atti sessuali” ricomprenderebbe semplicemente le condotte precedentemente previste dagli artt. 519 e 521, così che la portata applicativa della nuova norma coinciderebbe prettamente con la sommatoria delle precedenti incriminazioni.

Quanto al primo punto, una simile estensione della norma è fuori dal quadro che emerge dalla riforma in esame: l’art. 609 bis quinquies infatti punisce a titolo di “corruzione di minorenne” chiunque compie atti sessuali in presenza di persone minori di anni 14. Quindi il legislatore ben distingue il significato offensivo delle aggressioni sessuali materiali, da quello degli atti puramente esibizionistici che hanno rilevanza penale solo nelle ipotesi in cui siano in gioco esigenze di tutela dei minori. Proprio perché sembra emergere una netta distinzione tra condotte riconducibili all’art. 609 bis e condotte di minore intensità offensiva meritevoli di un trattamento più blando, la cui mancata approvazione è dovuta alla mera esigenza di far entrare celermente in vigore la riforma, non ci sembra si possa autorizzare un’estensione del concetto “atto sessuale” a quelle condotte attenuate, oggetto tipico della fattispecie “molestie sessuali”. Quindi pare che nel concetto di atto sessuale siano da ricomprendere quelle manifestazioni dell’istinto sessuale che si traducono in un atto o contatto corporeo. Mentre le residue espressioni della libido ricadono nell’area del penalmente irrilevante.

Quanto al secondo punto, secondo i suoi sostenitori, l’atto sessuale sarebbe il contatto fisico di una persona con una zona erogena. In questo modo il concetto ha una forte connotazione sessuale. Ma tale orientamento desta delle perplessità. Non si può prescindere da considerazioni di tipo soggettivo, dalle dinamiche dei rapporti agente-vittima del reato. Un approccio esclusivamente incentrato sul dato anatomico-fisiologico presenta quindi dei limiti. Vi è l’esigenza di un esame complessivo della vicenda.

Quanto al terzo punto, la giurisprudenza prevalente tende ormai a scorgere nell’atto sessuale una mera sintesi di un’ampia gamma di condotte precedentemente riconducibili alla violenza carnale e agli atti di libidine violenti. Ciò che conta è non tanto la zona del corpo investita, bensì il contesto di azione. Pare quindi che il legislatore abbia posto mano ad un mero aggiornamento terminologico.

Il punto focale viene a coincidere con l’interesse di natura strettamente personale protetto dalla norma, la disponibilità della sfera sessuale da parte della persona che ne è titolare.

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