Quattro sono le cause di non punibilità specificatamente previste per i delitti contro l’onore:
- offese in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle Autorità giudiziarie o amministrative: l’art. 598 stabilisce che non sono punibili le offese contenute negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati dalle parti o dai loro patrocinatori nei procedimenti dinanzi all’Autorità giudiziaria, ovvero dinanzi ad un’Autorità amministrativa, quando le offese concerno l’oggetto della causa o del loro ricorso amministrativo .
Circa i limiti soggettivi, dato che l’offensore deve essere parte o patrocinatore di essa, dell’esimente non beneficiano:
- i soggetti non parti;
- i soggetti non ancora parti;
- i consulenti tecnici di parte.
Con riferimento al destinatario dell’offesa, la giurisprudenza è passata dalla tesi restrittiva dell’esimente, ossia circoscritta alle offese dirette alla controparte o ai suoi patrocinatori, alla tesi estensiva dell’esimente, ossia estesa anche alle offese dirette ai giudici.
Circa i limiti oggettivi, essi sono costituiti:
- dall’attinenza delle offese all’oggetto della causa o del ricorso amministrativo;
- dalla contenenza delle offese in scritti presentati o in discorsi pronunciati nei procedimenti innanzi all’Autorità giudiziaria o amministrativa;
La salvaguardia del fondamentale bene della difesa processuale, in sintesi, si articola nel dualistico sistema:
- della scriminante dell’esercizio del diritto di difesa (e di accusa) (art. 24 co. 2 Cost.), nel cui ambito si versa se ricorrono i requisiti della verità, della necessità o utilità difensiva dei fatti offensivi riferiti e della correttezza e continenza del linguaggio;
- dell’esimente dell’art. 598, nel cui ambito si versa quando, per esclusione, l’offesa consiste nell’attribuzione di fatti offensivi utili alla difesa ma non veri, di fatti offensivi veri ma non utili alla difesa, oppure nell’uso di un linguaggio di per sé offensivo o incontinente;
- provocazione: l’art. 599 co. 2 sancisce che non è punibile chi ha commesso i fatti di ingiuria o di diffamazione nello stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso . Tale provocazione, costituente di regola circostanza attenuante, nei delitti contro l’onore assurge a causa di non punibilità, a patto che accanto ai comuni requisiti ricorra l’elemento della subitaneità della reazione iraconda offensiva;
- ritorsione (ingiurie reciproche): limitatamente alla sola ingiuria, l’art. 599 co. 1 stabilisce che se le offese sono reciproche, il giudice può dichiarare non punibili uno o entrambi gli offensori . Il co. 3 precisa che tale disposizione si applica anche all’offensore che non avvia proposto querela per le offese ricevute .
La reciprocità delle offese richiede:
- che si tratti di due ingiurie (non ingiuria e diffamazione) tutte ingiuste, ossia non scriminate, non essendo configurabile l’esimente della ritorsione a favore di chi ritorce l’offesa contro chi ha arrecato un’offesa scriminata all’onore;
- che l’una offesa sia la conseguenza dell’altra, in quanto la persona ingiuriata, per ritorsione, ingiuria l’ingiuriante;
- prova liberatoria (exceptio veritatis): l’art. 596 sancisce:
- il principio dell’esclusione della prova liberatoria (co. 1): il colpevole dei delitti preveduti dai due articoli precedenti (ingiuria e diffamazione) non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa ;
- la deroga al suddetto principio (co. 2), costituita dal deferimento ad un giurì d’onore (istituto inapplicato) del giudizio sulla verità del fatto, sempre che:
- l’offesa consista nell’attribuzione di un fatto determinato;
- vi sia accordo dell’offensore e dell’offeso sul deferimento;
- non sia stata pronunciata sentenza irrevocabile;
- le tre ulteriori deroghe al suddetto principio (co. 3), stabilendo che quando l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la prova liberatoria è sempre ammessa nel procedimento penale:
- se la persona offesa è un pubblico ufficiale ed il fatto ad esso attribuito si riferisce all’esercizio delle sue funzioni;
- se per il fatto attribuito alla persona offesa è tuttora aperto o si inizia contro di essa un procedimento penale;
- se il querelante domanda formalmente che il giudizio si estenda ad accertare la verità o la falsità del fatto ad esso attribuito;
- che se la verità del fatto è provata o se per esso la persona a cui il fatto è attribuito viene condannata dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’imputazione non è punibile, salvo che i modi usati non rendano per se stessi applicabili le disposizioni degli artt. 594 co. 1 (ingiuria) o 595 co. 1 (diffamazione) (co. 4).
Rispetto al nostro attuale ordinamento democratico (a libertà di manifestazione del pensiero cosiddetta aperta), l’exceptio veritatis, pur avendo rappresentato un’importante apertura, è stata superata dalla proclamazione della libertà di manifestazione del pensiero, nel duplice senso:
- che la prova della verità si estende ben oltre le due ipotesi dell’art. 596 co. 3 nn. 1 e 2, abbracciando tutte le ipotesi di fatti lesivi dell’onore, di interesse pubblico-sociale;
- che la sopravvissuta ipotesi di exceptio veritatis dell’art. 596 co. 3 n. 3 ha subito una restrizione della sua originaria portata, essendo definibile non più per esclusione, ma positivamente, poiché resta circoscritta ai soli fatti determinati offensivi privi di interesse pubblico-sociale;
- le immunità dei membri del Parlamento e dei consiglieri regionali, i quali possono essere chiamati a rispondere per le opinioni espresse e per i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni (artt. 68 co. 1 e 122 co. 4 Cost.), nonché quelle analoghe dei giudici della Corte costituzionale e dei membri del Consiglio superiore della magistratura.