Prima di entrare nel merito del processo internazionale, vengono esaminate su eccezione di parte o d’ufficio una serie di questioni preliminari, per le quali non si possa procedere senza una preventiva decisione. A riguardo si crea il contraddittorio che termina in una sentenza di accoglimento o di rigetto. Esse riguardano la ricevibilitĂ della domanda, l’individuazione dell’oggetto della controversia è il suo carattere attuale, cioè l’accertamento del fatto che le parti non abbiano giĂ raggiunto un accordo extra giudiziale o che non siano in un atteggiamento di desistenza processuale (cioè di rinuncia al giudizio). In base all’articolo 88 del regolamento di procedura le parti possono chiedere alla corte di menzionare l’accordo transattivo e cancellare la causa dal ruolo. In questo caso è superflua una valutazione decisoria della corte, salvo che la stessa non abbia disposto misure cautelari o che non voglia accertare se l’accordo transattivo tra le parti sia compatibile con norme imperative.
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L’interesse ad agire
La sentenza emanata dalla corte può essere di mero accertamento del diritto o di condanna. Se il processo internazionale è incardinato dalla domanda unilaterale dell’attore ne va prima accertata la titolaritĂ della situazione giuridica protetta dalla norma di diritto sostanziale invocata (ossia l’interesse ad agire), nonchĂ© la legittimazione passiva dello Stato convenuto a resistere in giudizio. E’ anche possibile che venga richiesta da parte di uno Stato una sentenza di condanna contro uno Stato che Dio li obblighi erga omnes, ad esempio il diritto all’autodeterminazione di uno stato terzo.
Se l’azione dello Stato dinanzi al giudice internazionale riguarda il trattamento dovuto ai suoi cittadini, bisogna distinguere a seconda che la norma primaria configuri un diritto proprio dello Stato o sia protetto solo l’interesse del privato. Nel primo caso l’interesse ad agire viene apprezzata in base alla sussistenza di un interesse diretto dello Stato; nel secondo l’interesse ad agire dello Stato viene valutato nei termini propri della protezione diplomatica.
L’accertamento del titolo di giurisdizione
Gli Stati parti della controversia devono avere entrambi accettato in modo incondizionato la competenza del giudice internazionale a conoscere della controversia. Inoltre, salvo eccezioni, lo statuto impone l’appartenenza di tutti i soggetti processuali a quel determinato sistema giurisdizionale (nel caso di specie a quello della corte internazionale di giustizia).
La competenza della corte nel caso concreto può risultare dalla clausola compromissoria, oppure, in caso di domanda unilaterale, viene individuata in base a vari criteri: materia (la corte può conoscere dell’oggetto della controversia nell’ambito materiale della competenza che le parti hanno riconosciuto); territorio (va stabilito se la controversia rientri nell’ambito territoriale di rilevanza del titolo di competenza); tempo (la competenza è quella che sussiste al momento in cui è stata presentata la domanda ed indipendentemente da eventi successivi in applicazione del principio della cd prorogatio iurisdictionis).
L’individuazione del titolo di competenza spetta all’attore; se le parti controvertono sul punto, la corte può valutare la propria competenza tra vari titoli di giurisdizione; se la controparte non contesta il titolo o addirittura lo accetta in sede processuale sia la possibilitĂ di una cosiddetta proroga tacita o espressa.
La subordinazione ad un altro meccanismo di soluzione della controversia
Limiti all’esercizio della giurisdizione possono imporsi per esigenze di coordinamento con altri procedimenti attivabili per la soluzione della stessa controversia, anche diversi da quello giudiziario, poichĂ© non esiste nel diritto internazionale generale l’affermazione di un primato della procedura giudiziaria. La questione del coordinamento tra il meccanismo giudiziario di soluzione della controversia e un meccanismo analogo non si pone è se tra gli Stati parti della controversia vi è il vincolo a rispettare la giurisdizione esclusiva di una corte precostituita.
Tuttavia nel diritto internazionale generale non esiste alcuna regola che sancisca la competenza esclusiva di una giurisdizione internazionale per un determinato tipo di controversie; dunque il coordinamento va impostato nei termini “concreti” del paradigma consensuale. La concorrenza tra organismi di tutela dei diritti umani preposti ad esaminare ricorsi individuali viene quasi sempre prevenuta con un’apposita clausola di subordinazione, in modo tale che il giudice consideri irricevibile la domanda dell’individuo se la stessa questione sia giĂ stata esaminata presso altro organismo equivalente e questo l’abbia decisa o la stia ancora valutando.
Se nel processo dinanzi alla corte internazionale di giustizia emerge una clausola di subordinazione la corte è tenuta a valutarla e quindi a declinare la propria competenza. La clausola è inoperante quando la questione oggetto della procedura giudiziaria sia semplicemente connessa con quella sottoposta all’esame di un altro organismo giudiziario.
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La modifica del rapporto processuale originario: domanda riconvenzionale, connessione e intervento
L’oggetto della controversia può estendersi se la parte convenuta presenti una domanda riconvenzionale contro l’attore, ricevibile solo se strettamente connessa con l’oggetto della domanda principale per i fatti e il titolo giuridico su cui si fonda. L’oggetto della controversia è unico ma piĂą domande sono rivolte ad uno stesso Stato la corte può decidere di unificare i diversi procedimenti in base alla connessione soggettiva di piĂą attori nei confronti dello stesso convenuto. Il numero delle parti di una controversia può essere esteso ad opera dell’intervento di Stati diversi dalle parti iniziali che abbiano avuto notizia della controversia e che (ex art. 62 dello statuto) vi abbiano un interesse di natura giuridica.
Per lo Stato che vuole essere ammesso a pieno titolo come parte principale occorre che il suo interesse ad agire sia direttamente connesso con l’oggetto principale della causa. Ex articolo 63 dello statuto una seconda ipotesi di intervento riguarda lo stato parte della convenzione ma terzo in causa che ha diritto di intervenire nel processo allo scopo di contribuire all’interpretazione della norma convenzionale, ma che non è parte formale del processo.