Nel diritto internazionale costituiscono cause di invalidità relativa dei trattati alcune circostanze che attengono alla manifestazione del consenso dello stato o intervengono al momento della conclusione e rendono nullo il trattato ex tunc. Accanto alla violazione delle nome interne sulla competenza a stipulare, la convenzione di Vienna prevede la manifestazione del consenso da parte del rappresentante al di là dei poteri a lui conferiti, l’ errore, il dolo, la corruzione del rappresentante, la violenza sul rappresentante o sullo stato, la contrarietà a norme di jus cogens. Per gli stati contraenti della convenzione di Vienna, e per i trattati stipulati dopo la sua entrata in vigore queste disposizioni hanno carattere esclusivo e esauriscono le cause d invalidità che possono essere invocate.
Qualora siano stati compiuti degli atti in applicazione di un trattato nullo, ogni parte può chiedere alle altre che sia ristabilita la situazione che si sarebbe avuta se tali atti non fossero stati compiuti. Alcuni vizi del consenso possono essere invocati solo dallo stato il cui consenso è viziato, mentre altri, per la loro natura e gravità, travolgono il trattato indipendentemente dalla richiesta di tale stato. In relazione ai primi, uno stato decade comunque dal diritto di far valere l’ invalidità quando abbia esplicitamente accettato di considerare il trattato come valido o si debba desumere dal suo comportamento che abbia prestato acquiescenza alla sua validità.
L’ art. 47 della convenzione di Vienna concerne l’ ipotesi del rappresentante che manifesti il consenso dello stato al di fuori dei pieni poteri ricevuti, cioè senza tenere conto di limiti o restrizioni specifiche e relative proprio al consenso. Tali restrizioni possono essere opposte agli altri stati contraenti solo se sono ad essi notificate prima che il consenso viziato sia stato espresso, ad esempio in quanto contenute nel documento dei pieni poteri. È da notare che tale ipotesi è si può verificare solo in relazione ad accordi in forma semplificata.
In base all’art. 48 della convenzione di Vienna, uno stato può invocare l’ errore quale vizio del proprio consenso solo se si tratti di un errore relativo ad un fatto o ad una situazione che lo stato stesso riteneva esistente al momento della conclusione del trattato e che costituiva una base essenziale del consenso.
Un errore che non concerne una situazione essenziale o che abbia natura meramente redazionale non inficia la validità del trattato, ma può essere corretto dalle parti seguendo una procedura concordata o quella contenuta all’art. 79 della convenzione di Vienna.
Per quanto riguarda il dolo, non essendo frequente nella prassi internazionale , la commissione del diritto internazionale ha ritenuto di lasciare alla prassi il compito di precisarne lo scopo e l’ ambito di applicazione. Quanto alla corruzione del rappresentante, secondo la stessa commissione, essa riguarda il caso di atti volti in modo specifico ad esercitare un influenza sostanziale sulla manifestazione del consenso del rappresentante che altrimenti non l’ avrebbe prestato in quei termini.
L’ art. 53 pone una causa d invalidità del trattato che colpisce anch’ essa il trattato ab inizio, ma riguarda il contenuto del trattato anziché il consenso delle parti. Essa sancisce un limite alla libertà degli stati che non possono stipulare trattati che contrastino con norme inderogabili di diritto internazionale generale cioè con le norme di jus cogens. Quando si applica questa norma, le pari devono eliminare le conseguenze di qualsiasi atto compiuto sulla base di una disposizione contraria ad una norma di jus cogens e rendere conformi ad essa i reciproci rapporti.
Le cause di invalidità assoluta dei trattati
Le cause di invalidità sono contenute negli articoli 51 e 52 della convenzione di Vienna del 1969. L’articolo 51 considera nullo il trattato qualora il consenso del rappresentante dello Stato sia stato ottenuto con violenza o minaccia di violenza alla sua persona. L’articolo 52 considera invece la violenza subita dallo Stato nella formazione del consenso se avvenuta con “minaccia o impiego della forza in violazione dei principi di diritto internazionale incorporati nella carta delle Nazioni Unite.
È quindi a questo strumento che occorre far riferimento per rilevare le norme generali in tema di divieto di uso della forza, la cui violazione causa l’invalidità assoluta del trattato. Gli articoli 39 44 della carta condannano rispettivamente anche l’aggressione e l’impiego di forze armate da parte degli Stati membri (e l’articolo 51 giustifica la legittima difesa in relazione ad un’aggressione). Nel corso della approvazione della convenzione di Vienna venne approvata una risoluzione nella quale si condannava l’impiego della violenza economica: l’atto tuttavia non aveva valore vincolante e non ha dato luogo ad una evoluzione del diritto internazionale generale.
L’invalidità del trattato per violenza sullo stato deve riguardare unicamente la minaccia o uso della forza armata che incida sull’indipendenza politica e l’integrità territoriale dello Stato nella formazione e nella manifestazione del suo consenso a vincolarsi al trattato (come accadde per la cessione dei Sudeti alla Germania da parte della Cecoslovacchia, ipotesi in cui il consenso ceco venne di fatto estorto sotto la pesante minaccia d’invasione da parte della Germania).
È da escludere l’invalidità del trattato se l’azione armata è stata posta in essere direttamente dall’Onu ovvero il consiglio di sicurezza l’abbia prevalentemente autorizzata o avallata ex post. La terza ipotesi di invalidità assoluta è prevista dall’articolo 53 a proposito del contrasto di un trattato con una norma imperativa di internazionale generale: non rientrano tra le norme imperative nelle regole consuetudinarie che siano di natura cedevole perché disponibili da parte degli Stati, nelle regole consuetudinarie che vengono assunte come imperative solo in rapporti reciproci tra Stati (esempio: le comunità diplomatiche).