Tutte le fattispecie che non rientrano nelle fattispecie confusorie o denigratorie, rientrano nel n°3 dell’art. 2598 c.c. Queste fattispecie sono eterogenee, ma tipizzate.
1- Pubblicità ingannevole → induce in errore il consumatore, ingannandolo sulle caratteristiche del prodotto o sulle notizie. Vi è anche la pubblicità “iperbolica” che sfugge a tale normativa in quanto vi è una magnificazione del prodotto. Affinché possa essere rilevato e sanzionato, il mendacio concorrenziale deve essere idoneo a trarre in inganno il consumatore.
2- Ribassi di prezzo → gli imprenditori devono essere in grado di stabilire autonomamente i prezzi dei loro prodotti. Vi sono però alcune attività che sono illecite. Esempio: rivenditore di un certo bene o servizio che viola il prezzo di listino o prezzo imposto da parte del produttore del bene o servizio. Così proposta, la fattispecie potrebbe essere rilevante ai fini della concorrenza sleale. Visto sotto la lente della correttezza professionale il sistema di imporre un prezzo potrebbe essere rilevante sotto il profilo antitrust (l. 287/1990). Secondo tale normativa sono illeciti tutti gli accordi che fissano in modo diretto o indiretto il prezzo di un bene. Quindi, alla luce della normativa antitrust, il ribasso di un bene potrebbe risultare lecito.
3- Vendita sottocosto → anche questa attività può porre il problema se sia un’attività eccessivamente aggressiva tra un concorrente e l’altro sul mercato. La giurisprudenza cerca di comprendere e stabilire tra tutta la generalità dei casi quali fattispecie siano giuridicamente rilevanti sotto il profilo della concorrenza sleale. Sono sleali tutte quelle fattispecie in cui vi è una maggior dose di aggressività volta a far fuori il concorrente con una politica aggressiva dei prezzi. La politica più aggressiva è la stabilità del sottocosto, cioè di quel sottocosto che non si limita a sporadiche offerte, ma che è tendenzialmente permanente. Ciò che rende rilevante questa attività è il fatto che sia un’attività stabile. Di conseguenza, sono lecite le ipotesi in cui il sottocosto sia limitato a particolari periodi oppure sia relativo a beni che siano divenuti obsoleti oppure a beni fallati. Tanto più che vi è una normativa amministrativa, il D.P.R. 218/2001 che prende in considerazione questa fattispecie. Dal punto di vista amministrativo tende molto a limitare il ricorso alla vendita sottocosto → la normativa dice che l’impresa offerente deve sempre denunciare al comune l’offerta sottocosto e deve precisare quale sia il periodo di riferimento della stessa.
4- Violazione di norme di diritto pubblico → gli imprenditori, nell’esercizio della loro attività d’impresa sono assoggettati a norme di carattere amministrativo e pubblicistico (obbligo di versare l’IVA, obbligo di rispetto della normativa sanitaria, rispetto della normativa sul lavoro ecc.). Tutte normative la cui violazione può rilevare anche a fini concorrenziali. Queste attività possono dirsi contrarie alla correttezza professionale e idonee a ledere il concorrente? È un argomento controverso. La logica normale dice che sono tutte attività di concorrenza sleale. Se davvero fosse così, metà del nostro mercato passerebbe sotto il n°3 dell’art. 2598 c.c. La giurisprudenza non sempre riconosce questi atti come illeciti. Vanzetti → per non considerarle tutte sleali possiamo (come fanno le corti) rileggere queste attività non sotto il profilo della correttezza professionale, ma sotto il profilo della concorrenza. Si distinguono dunque normative che impongono:
a- limiti all’agire dell’imprenditore: sono quelle norme che dicono all’imprenditore, per esempio, quando aprire e chiudere bottega, o che gli impongono periodi di liquidazione del prodotto. L’imprenditore che non rispetta questi limiti compie atti di concorrenza sleale.
b- costi all’imprenditore: impongono un costo all’imprenditore per l’esercizio della sua attività. Esempio: mettere in regola i lavoratori, pagare l’IVA ecc. L’imprenditore che non rispetta tali norme si procura un vantaggio economico. Qui le corti tentennano: occorre vedere se il vantaggio economico ricade nell’attività professionale (esempio: l’imprenditore reimpiega il vantaggio economico ottenuto direttamente nell’impresa). Se così non è (intasca i soldi) compie attività di concorrenza sleale.
c- oneri a carico dell’imprenditore: sono le normative che impongono all’imprenditore di ottenere un’autorizzazione o una licenza per l’esercizio di un’attività. I giudici sostengono che non è vagliabile sotto questo profilo il comportamento illecito a meno che non si tratti di andare contro alla normativa anti-mafia.
5- Storno di dipendenti → è l’ipotesi in cui il concorrente istiga, invoglia i dipendenti del concorrente al licenziarsi per poter essere assunti nella propria azienda. Gli interessi in gioco sono interessi sensibili e non si può tracciare una linea chiara tra ciò che è lecito e ciò che è illecito. Vi è da una parte l’interesse dell’imprenditore leso ad agire in giudizio per concorrenza sleale (es. gli si licenzia tutto lo staff tecnico-sviluppo). Dall’altra parte ci sono i lavoratori liberi di poter scegliere. I giudici hanno dunque dovuto cercare di tracciare una linea di demarcazione. Si è fatta una duplice distinzione: un caso è il dipendente che si licenzia autonomamente per essere assunto poi nel’altra azienda. Altro caso è l’imprenditore concorrente che istiga il dipendente a licenziarsi per assumerlo presso la sua azienda. Se l’attività è volontaria da parte del dipendente non potrà essere giudicata come concorrenza sleale, in quanto libera e priva di sollecitazioni. Fattispecie diversa è il caso in cui il dipendente subisce sollecitazioni ed è infine portato a licenziarsi. Una simili ipotesi è rilevante ai fini della concorrenza sleale. Ma il dipendente non dirà mai di essere andato nell’altra azienda perché istigato. Vi sono dunque degli orientamenti per capire se l’attività è illecita:
a- Il comportamento rilevante ai fini della concorrenza sleale è quello del concorrente che istiga i dipendenti screditando il loro datore di lavoro.
b- Altro orientamento valuta l’animus nocendi, cioè l’attitudine, l’idoneità dell’attività a danneggiare l’imprenditore concorrente. Gli indici per rilevare questo sono:
I- Numero dei dipendenti che viene fatto licenziare per essere riassunti
II- Importanza che il dipendente aveva nella vecchia azienda
III- Se l’imprenditore aveva una talpa all’interno dell’azienda concorrente.
6- Concorrenza dell’ex dipendente → ex dipendente che mette su un’attività simile a quella per cui lavorava in precedenza e l’ex datore gli fa causa per concorrenza sleale. Molto spesso i giudici rigettano queste istanze. L’ex dipendente ha tutto un bagaglio di conoscenze ed esperienze accumulate durante il lavoro nell’azienda in cui lavorava. Tutto questo è suscettibile di configurare un’attività di concorrenza sleale, ma è altrettanto vero che ci troviamo in ogni caso in un libero mercato e che l’iniziativa economica è libera.
7- Divulgazione di segreti d’azienda → il dipendente ha conoscenze riguardo la sua azienda. Conosce anche veri e propri segreti aziendali su vari aspetti. Il dipendente si licenzia, oppure pur rimanendo dipendente dell’azienda, fornisce sottobanco, segreti aziendali. Sotto il profilo concorrenziale questa attività è illecita. Il discrimen tra quello che è conoscenza e professionalità acquisita non si distingue da ciò che è vero e proprio segreto aziendale (es. sulle tecniche di produzione). Come si distinguono i segreti aziendali? Gli artt. 98-99 Cod. Prop. Ind. Danno una definizione: “rappresentano un segreto aziendale le notizie che l’imprenditore ha voluto mantenere riservate spendendo sul mantenimento della riservatezza delle stesse e predisponendo un meccanismo per mantenerle segrete”. La divulgazione di tali notizie è dunque configurabile come attività di concorrenza sleale.
8- Boicottaggio → è quell’attività di un imprenditore che mediante il proprio rifiuto a contrattare con un concorrente o istigando un terzo a non contrattare con quel concorrente, ottiene il risultato di far fuoriuscire il concorrente dal mercato. Vi sono due tipi di attività:
a- Boicottaggio primario: imprenditore che si rifiuta di contrattare con il concorrente
b- Boicottaggio secondario: imprenditore che istiga un terzo a non contrattare con il suo concorrente.
Delle due ipotesi la più importante è quella del boicottaggio secondario. Entro certi limiti l’imprenditore può lecitamente rifiutarsi di contrattare con un suo concorrente. Ma se si trova in una situazione di monopolio ha l’obbligo di contrattare, altrimenti vi sarebbe un abuso di posizione dominante soprattutto nel caso di boicottaggio secondario.