Le tematiche che riguardano la posizione da assumere sui confini della vita e della morte coinvolgono ineludibilmente i valori etici e religiosi di operatori che in tali situazioni si sentano obbligati al rispetto delle norme della propria fede. La risposta che l’ordinamento propone è quindi quella di riconoscere l’esercizio dell’obiezione di coscienza, che rappresenta un compromesso tra le ragioni della legge e quelle della coscienza:

  • ai sensi e nei limiti della l. n. 194 del 1978, in particolare, il personale sanitario ed esercente le attivitĂ  ausiliarie non è tenuto a prendere parte agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione ;
  • ai sensi della l. n. 40 del 2004, il persona sanitario ed esercente le attivitĂ  sanitarie ausiliarie può legittimamente rifiutarsi di prendere parte alle procedure per l’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita;
  • il personale sanitario può fare obiezione di coscienza qualora non intenda partecipare alle procedure previste nei disegni di legge sul testamento biologico e l’accanimento terapeutico.

Anche il rifiuto delle cure da parte del malato tuttavia può avere motivazioni religiose (obiezioni al trattamento sanitario) (es. rifiuto di emotrasfusione da parte dei Testimoni di Geova). La regola generale in materia sembra essere quella della libera disponibilità di sé da parte dell’adulto capace e consapevole. Il riconoscimento di tale obiezione, tuttavia, non equivale al riconoscimento di un diritto di ammalarsi: l’obiettore, infatti, non rivendica il diritto ad essere ammalato ma il diritto alla propria identità, ossia a vivere la propria patologia coerentemente ai dettami della propria coscienza e della propria fede.

Lascia un commento