I sacerdoti ricevono la loro remunerazione (nella misura fissata dal rispettivo vescovo) dall’ente della Chiesa locale presso il quale prestano servizio (la diocesi per il vescovo e per i sacerdoti che lavorano nella curia diocesana, la parrocchia per il parroco ed i vicari parrocchiali, ecc.). La legge 20 maggio 1985 n. 222 ha stabilito che in ogni diocesi viene eretto un Istituto diocesano per il sostentamento del clero, al quale compete la titolarità e l’amministrazione di una serie di beni prima costituenti la dote dei c.d. benefici.
La Conferenza Episcopale Italiana ha istituito una peculiare persona giuridica, l’Istituto Centrale per i sostentamento del clero, che è sotto il suo diretto controllo, e che ha come scopo precipuo quello di “erogare agli istituti diocesani e a quelli interdiocesani per il soddisfacimento del clero le risorse necessarie a consentire l’integrazione, fino al livello fissato dalla CEI, delle remunerazioni dei sacerdoti che svolgono servizio in favore della diocesi”.
Canali di entrata fiscale dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero:
a) la quota versata dallo Stato pari all’8 per mille dell’IRPEF;
b) le erogazioni liberali (donazioni di denaro) fatte dai cittadini.
Per quanto riguarda il rischio di malattia, i “sacerdoti secolari e ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica” sono tenuti a versare all’INPS i contributi sociali di malattia previsti in linea generale, a carico di tutte le categorie di lavoratori, per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale.
Per la invaliditĂ e la vecchiaia, piĂą specificatamente, la legge 22 dicembre 1973 n. 903 ha istituito un Fondo di previdenza per il clero della confessione cattolica e per i ministri di culto delle confessioni acattoliche.
Il Fondo ha lo scopo di concedere una pensione diretta all’iscritto che abbia raggiunto il limite di età stabilita, oppure sia divenuto permanentemente invalido, ed una pensione indiretta (o di reversibilità ) ai superstiti dell’iscritto o pensionato del Fondo.
Soggetti all’obbligo di iscrizione sono tutti i sacerdoti secolari e tutti i ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica, aventi cittadinanza italiana e residenti in Italia.
Restano dunque esclusi da questo sistema di sicurezza sociale i religiosi – a meno, ovviamente, che non lavorino alle dipendenze di terzi – per i quali la soluzione del problema è complicata dal fatto che essi, per definizione, sono poveri.