Le Corti d’Appello hanno dichiarato che “deve escludersi l’applicabilità, alle sentenze di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, della disciplina di cui agli art. 64 e segg. della legge n. 218/1985”. La ragione starebbe nel fatto che la stessa legge n. 218 prevede un proprio limite di applicazione per il caso che convenzioni internazionali dispongano diversamente, e l’art. 8 c. 2° dell’Accordo 1984 è per l’appunto da considerarsi una convenzione internazionale. La conseguenza di questo orientamento è che la delibazione resta in vita solo per le sentenze ecclesiastiche.
La legge n. 218 nulla dice al riguardo pur partendo dal presupposto che spetti all’ufficiale di stato civile il compito di controllare la sussistenza dei requisiti cui la legge subordina il riconoscimento della sentenza straniera, ha inviato agli ufficiali di stato civile una circolare con cui suggerisce loro, ove abbiano dubbi circa la sussistenza di tali requisiti, di rivolgersi al pubblico ministero: se anche questi fa riscontro negativo, l’interessato deve necessariamente ricorrere alla Corte d’Appello.
Nel primo caso la Corte d’Appello, che viene attivata su ricorso e può procedere con il spedito rito camerale, deve dunque compiere un elementare controllo sul processo svoltosi nell’ordinamento confessionale, affinché sia armonizzabile con i valori di base del processo civile, verificando il ricorrere di due condizioni. La prima condizione è “che il giudice ecclesiastico era il giudice competente a conoscere della causa”.
La seconda condizione risponde all’esigenza che il cittadino abbia fruito, nel processo dinanzi al giudice ecclesiastico, delle basilari garanzie processuali offerte dall’ordinamento statuale, e che si riconducono all’art. 24 c. 2° Cost., secondo cui “la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”.
Nel secondo caso, quando cioè l’altra parte contesti il riconoscimento, la Corte, che in questo caso viene attivata sulla base di citazione e procede secondo il rito ordinario, deve innanzitutto accertare che “non pende un processo davanti a un giudice italiano per il medesimo oggetto e fra le stesse parti, che abbia avuto prima del processo straniero”.
La disponibilità al riconoscimento di altre fonti di produzione giuridica comporta lo sgretolamento delle barriere opposte tradizionalmente, in nome di una cultura maggioritaria, alle culture minoritarie: prima fra tutte quella dell’ordine pubblico, che perde ogni funzione difensivistica, diventando, rispetto alla regola dell’integrazione e dello scambio, una pura eccezione resa necessaria dalla difesa di alcuni valori essenziali a livello costituzionale.
Appare pertanto ultronea la preoccupazione di sottrarre le sentenze ecclesiastiche di nullità ai supposti rigori dell’ordine pubblico invocando un “margine di maggior disponibilità dell’ordinamento nei confronti dell’ordinamento canonico, rispetto ad altri ordinamenti”.
Principio dell’affidamento incolpevole. Nel diritto matrimoniale canonico, uno dei vizi del consenso più frequentemente addotti come motivo di nullità è quello consistente nell’esclusione di qualche elemento. Per il diritto matrimoniale canonico, tutto incentrato sull’elemento del consenso, non ha alcuna importanza che questa esclusione di elementi o proprietà essenziali del matrimonio sia avvenuta d’accordo fra le parti oppure sia stata operata da uno dei due coniugi senza informare l’altro.
Quando la sentenza ecclesiastica abbia dichiarato nullo il matrimonio sulla base di questa simulazione unilaterale e non resa nota all’altra parte essa, “pur giustificata sul piano canonico dalla natura di sacramento del matrimonio”, è contraria all’ordine pubblico e quindi non le si può dare esecuzione in Italia.
Un altro problema deriva proprio dall’esigenza di accertare le circostanze dell’affidamento incolpevole, dall’esigenza cioè di determinare se la intenzione simulatoria sia stata conosciuta dall’altra parte oppure non lo sia stata.
Secondo un orientamento più restrittivo “si intende che in ogni caso non si procederà al riesame del merito”, l’indagine della Corte d’appello può svolgersi “sulla sola base dei fatti risultanti dalla sentenza ecclesiastica”. Secondo una linea più attenuata la Corte potrebbe condurre l’indagine sul punto della conoscenza/conoscibilità non solo attraverso la sentenza, bensì anche attraverso “atti del processo canonico eventualmente prodotti”. Un terzo orientamento infine sostiene che la Corte d’appello è legittimata a svolgere eventualmente anche un’apposita istruttoria.