Mentre la tematica della libertà religiosa presenta, rispetto all’esperienza pre-fascista, precise linee di continuità per quel che riguarda il suo aspetto negativo, ed invece inusitati sviluppi e novità per quel che riguarda il suo aspetto positivo, una netta linea di frattura appare invece per quel che riguarda quello che era stato il problema centrale per lo Stato pre-fascista, ossia il problema del rapporto fra potere politico e potere religioso della Chiesa cattolica.

Alla luce della nuova Costituzione, la religione cattolica può svolgere questo suo ruolo, la cui legittimazione non viene più presentata nei termini cinici del sostegno del potere politico, bensì attraverso la più suadente dottrina secondo cui la vita sociale si basa su una serie di energie costitutive, la cui caratteristica è che esse non sono affatto autosufficienti, bensì tra loro interdipendenti.

Se quelle energie sociali danno vita ad ordinamenti, nell’ambito dei quali trovano soddisfacimento rilevanti interessi personali si tratta di far sì che questi ordinamenti possano raggiungere il loro obiettivo di regolamentazione del settore di vita cui si riferiscono e di soddisfacimento dei bisogni che da questa regolamentazione deriva.

Si pone pertanto un’esigenza di collegamento, il cui obiettivo si concretizza praticamente nell’assegnare al gruppo non tanto risorse materiali, quanto risorse giuridiche, in termini di rilevanza oppure di efficacia dei loro poteri, adeguati alle loro specifiche, peculiari esigenze.

Una democrazia pluralista non può offrire questo sistema di collegamento alla sola Chiesa cattolica, e deve renderne partecipi anche altre istituzioni religiose, sia pure non dotate di peso politico. È così che sono state inventate le confessioni religiose.

I gruppi religiosi titolari di interessi istituzionalizzati che lo Stato vuole soddisfare sono quelli che una volta venivano qualificati come culti, perché è proprio attraverso il culto che questi particolari tipi di gruppi umani, differenziandosi da tutti gli altri, si presentano fondati su valori religiosi; vengono qualificati invece oggi dalla Costituzione come confessioni religiose.

A questi gruppi viene fatta una disciplina particolare, che si caratterizza soprattutto per due aspetti, il primo sostanziale, il secondo procedimentale:

a) assegnazione di particolari risorse materiali e giuridiche;

b) possibilità di negoziare con il potere politico la disciplina che li riguarda.

Nell’intento di superare i pericoli derivanti dalla previa definizione di religione, la Corte Costituzionale ha suggerito di utilizzare alcuni criteri formali ed oggettivi.

Un primo criterio è costituito dal riscontro di “precedenti riconoscimenti pubblici”; questi riconoscimenti possono dedursi, direttamente o indirettamente, pure da rapporti del gruppo religioso “con organi settoriali dello Stato”.

Un secondo criterio è quello costituito dalla “comune considerazione”. L’aggettivo comune va inteso nell’accezione di condiviso “da altri che abbiano proceduto alle medesime valutazioni, pervenendo alle medesime conclusioni”.

Un terzo criterio è costituito dall’esame degli statuti di questi gruppi religiosi, da analizzarsi naturalmente senza la pretesa di riscontrarvi caratteri analoghi a quelli notori della religione cattolica.

Bisogna tener presente che qualunque gruppo sociale intende perseguire i suoi obiettivi. L’autonomia statutaria garantisce che l’esercizio di questi poteri sortisca l’effetto desiderato.

Il fatto è che l’autonomia statutaria non è certo sufficiente per il più efficace perseguimento degli obiettivi del gruppo. Infatti:

  • può esistere una regolamentazione, propria di altri settori della vita, che è prevalente in concreto, è cioè in grado di sovrastare e vanificare la regolamentazione del settore specifico.
  • la regolamentazione dell’ordinamento confessionale – per gli strumenti di attuazione di cui dispone – è tale che il conseguimento del risultato è rimesso alla libera accettazione del destinatario di quel potere.
  • possono esserci istituti riconducibili a diversi settori della vita, regolamentari perciò da ordinamenti diversi, di guisa che il potere confessionale, se si esplicasse in relazione al suo solo settore, non avrebbe certo pienezza e completezza di risultati, perché resterebbe sempre in piedi una regolamentazione diversa, fatta dagli altri ordinamenti di settore.

Il gruppo perseguirebbe meglio i suoi obiettivi se l’ordinamento statuale prevedesse il concorso dei propri organi legislativi, amministrativi o giudiziali, e delle sue funzioni, per garantire l’effettività di quei poteri confessionali.

È nostra ferma convinzione che la rilevanza accordata alla categoria delle confessioni religiose è funzionale essenzialmente all’obiettivo di soddisfare gli interessi istituzionalizzati facenti capo ad una specifica categoria di gruppi religiosi, di conferire cioè rilevanza ed efficacia ai poteri ordinamentali di questi peculiari gruppi religiosi all’interno dell’ordinamento statuale.

Le ragioni di questa proclamata disponibilità le abbiamo già indicate: la persona affida sovente a dei gruppi, a delle istituzioni, il soddisfacimento di sue esigenze fondamentali.

La caratteristica della posizione dei gruppi confessionali sta nella disponibilità statuale al soddisfacimento degli interessi di cui essi sono portatori, disponibilità che si manifesta nella assegnazione non solo e non tanto di risorse materiale, ma anche e soprattutto di risorse giuridiche. Il fatto è che l’individuazione di questi interessi da soddisfare non avvengono in via unilaterale, bensì attraverso un collegamento che consente al gruppo confessionale innanzitutto la prospettazione di tali interessi, ed in secondo luogo la contrattazione circa le modalità, quantitative e qualitative, del soddisfacimento degli stessi.

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