Lo studio dell’apporto del pensiero cattolico alle norme costituzionali relative al fenomeno religioso non può prescindere dalla rilevazione dei diversi itinerari di elaborazione di una cultura politica all’interno del complesso mondo cattolico tra 800 e 900.
Occorre tener presente come nell’età della Costituente il movimento cattolico non apparisse chiuso monoliticamente in una definita cultura politica, bensì fosse caratterizzato da una pluralità di orientamenti.
All’interno della cultura cattolica all’età della Costituente una posizione preminente era tenuta dalle posizioni di pensiero che potevano vantare le loro più profonde radici nell’elaborazione filosofica e teologica francese a cavallo delle due grandi guerre mondiali. Tali posizioni ebbero modo di esercitare la loro influenza sul testo costituzionale sia in via immediata, tramite il cd. “ gruppo dossettiano” che svolse un ruolo di primo piano nell’elaborazione della Carta; sia in via mediata, grazie al lavoro formativo svolto dai cd. Movimenti intellettuali cattolici (come il FUCI e il movimento laureati). Da tali movimenti, infatti, sortì buona parte della classe politica cattolica nell’ Italia del dopoguerra.
In particolare un’influenza determinante esercitò il pensiero di Maritain, con il suo ideale storico concreto di una nuova cristianità e con le sue elaborazioni in tema di primato dello spirituale nei rapporti con il temporale, così anche il pensiero di Mounier circa il personalismo comunitario. E’ opportuno fare riferimento, inoltre, all’influsso che esercitò sulla cultura cattolicala Nouvelletheologìe, i cui pensatori erano accomunati dall’istanza ad un ritorno alle sorgenti bibliche.
Nell’ambito della realtà culturale italiana, nell’età della Costituente, è invece onere ricordare altri filoni di pensiero, quali il personalismo rosminiano, che si inserì nella definita tradizione della civiltà italiana in ordine al problema dei rapporti tra Stato e Chiesa; e il popolarismo sturziano, in rapporto alle peculiari vicende italiane circa le relazioni tra Stato e Chiesa, con il principio di non identificazione tra le ragioni politico-sociali di un partito di ispirazione cristiana e le ragioni della Chiesa come istituzione religiosa.
Esponenti politici cattolici che ebbero un largo influsso sulla formazione della Costituzione furono anche Giuseppe Dossetti, il più sottile tessitore della teoria dei rapporti tra Stato e confessioni religiose nella formulazione di quelli che sarebbero divenuti gli art. 7 e 8 e Guido Gonnella che svolse indirettamente un’influenza assai profonda.
Se si guarda al testo dell’art. 7 non è difficile rilevare come il dettato costituzionale sia fortemente debitore del diritto canonico.
In particolare tre paiono i principi teoretici classici dello Jus publicum ecclesiasticum che risultano recepiti dal testo costituzionale.
Il primo, fondamentale perché costituente la chiave di volta di tutto il sistema, è quello relativo alla qualificazione giuridica dell’ordinamento canonico. Al riguardo è stato detto che la formula del primo comma dell’art. 7 è valsa a vestire in abiti comprensibili per i profani, la concezione secondo la qualela Chiesadà vita a un ordinamento originario, distinto e autonomo da quello dello Stato. (concezione rosminiana)
Una conferma che la formula del primo comma art. 7 discende dal diritto canonico si ha dalla ricostruzione storica dell’intenso lavorio di preparazione della costituzione, che si ebbe non solo nell’ambito della Costituente ma anche e soprattutto fuori di essa, e che caratterizzò i diversi gruppi. Difatti risulta che detta formula fu letteralmente tratta dall’enciclica Immortale Dei (1885) di Leone XIII ad opera di Montini,La Piraed altri.
E tale formula fu poi introdotta senza difficoltà nel progetto di Costituzione, essendo la formula ormai classica di inquadramento della posizione della Chiesa, in sé e nei suoi rapporti con lo Stato, secondo la dottrina cattolica.
Il riconoscimento della Chiesa nella sua qualificazione canonistica di societas iuridice perfecta, operato dal costituente, comporta anche la recezione nel testo costituzionale di un altro principio proprio dello Jus publicum ecclesiasticum, vale a dire quello della libertas Ecclesiae.
Tale recezione non risulta così esplicita come nel caso precedente, ma è desumibile agevolmente sia in via interpretativa dallo stesso primo comma dell’art. 7, anche in rapporto con il comma successivo. Difatti il riconoscimento della indipendenza e della sovranità della Chiesa nell’ordine suo significa riconoscimento della Chiesa secondo la natura sua propria, in altre parole con l’avvento della Costituzione lo Stato italiano ha rinunciato alla eventualità di incidere sui profili strutturali e funzionali della Chiesa.
Il riconoscimento alla Chiesa di un diritto pubblico soggettivo di libertà comporta conseguentemente il problema della determinazione dei contenuti e della estensione di tale diritto nell’ordinamento italiano. Si tratta di un problema che costituisce il nodo centrale di tutto il diritto ecclesiastico, e che non può essere risolto né affermando un obbligo dello Stato di lasciare al potere ecclesiastico la giuridica regolamentazione di istituti e rapporti bene definiti nell’ordinamento statale; né, all’opposto, facendo appello al tradizionale principio della cd. “competenza delle competenze”, secondo cui è sempre allo Stato soltanto che spetterebbe l’insindacabile diritto di giudicare nei singoli casi concreti se una res sia mixta o meno, se rientri nell’ordine proprio statale o ecclesiastico.
La Costituzionenon pone esplicitamente in materia il principio della competenza della competenze, principio del resto incompatibile con il riconoscimento reciproco di indipendenza e sovranitĂ .
La Costituzionepone invece il principio patrizio o dell’accordo nei rapporti tra Stato e Chiesa cattolica, il quale risulta costituire lo strumento volto a definire nelle res mixtae la delimitazione tra gli ordini propri dell’una e dell’altra autorità .
In sede di Assemblea costituente il problema fu posto con estrema lucidità nei suoi termini essenziali da Dossetti, affermando che il principio dell’autonomia originaria dello Stato e della Chiesa cattolica, implica tutta una serie di conseguenze e porta all’altro principio della bilateralità necessaria della disciplina dei rapporti tra le due società .
Il Dossetti osservava che, se il contatto tra i due ordinamenti è inevitabile, esso può avvenire soltanto attraverso un negozio bilaterale di diritto esterno tra ordinamenti originari, cioè attraverso quel tipo di negozio che si chiama concordato. Nel caso in cui invece avvenga al di fuori dell’atto bilaterale, allora si ha sempre disconoscimento dell’originarietà dell’altro ordinamento.
Dossetti concludeva affermando che la disciplina bilaterale, concordataria, delle materie di comune interesse perla Chiesae per lo Stato non implica confusione tra le due potestĂ .
Da questi riferimenti è agevole dedurre come il principio della necessaria disciplina bilaterale, da postulato di dottrina giuridica sia divenuto norma costituzionale nella regolazione dei rapporti tra Stato e Chiesa.
In particolare per ciò che attiene al fondamentale principio della libertas Ecclesiae, risulta che esso è stato recepito dalla Costituzione ad un duplice livello. Al primo, in quanto l’ordinamento canonico è riconosciuto originario e quindi esterno all’ordinamento statuale. Al secondo, che attiene alle dimensioni di tale libertas non considerata in sé ma in rapporto all’ordinamento italiano, dove i relativi contenuti sono desunti dalle norme definite bilateralmente tra Stato e Chiesa.
Per completare tale discorso è opportuno individuare i punti nei quali il Costituente si è distaccato dalle teoriche dello Jus publicum ecclesiasticum, grazie anche all’influsso dei più noti filoni di pensiero cattolico.
Il primo elemento di innovazione sembra doversi cogliere nell’affermazione del principio di parità giuridica tra Stato e Chiesa visto che le tesi classiche si basavano sulla nota teoria controriformistica della “potestas indirecta Ecclesiae in temporalibus” (indiretta subordinazione dello Stato alla Chiesa), costituente la chiave di volta di tutta la teoria canonistica classica.
E’ evidente infatti come la formula del primo comma dell’ art. 7 escluda decisamente ogni forma di subordinazione dello Stato alla Chiesa, rispondendo sul piano politico alle attese del mondo laico, e sul piano della dogmatica giuridica alla costruzione rosminiana delle relazioni tra ordinamenti primari.
Altro elemento innovativo rispetto alle consolidate teorizzazioni dello Jus publicum ecclesiasticum deve essere sicuramente individuato nel principio della non confessionalitĂ dello Stato, non esplicitamente formulato nella Carta costituzionale, ma desumibile da un complesso di principi racchiusi in varie norme del testo (anche art. 7 primo comma).
L’affermazione della laicità dello Stato, se favoriva politicamente il convergere delle forze laiche sull’approvazione della formula di cui al primo comma dell’art. 7, poteva d’altra parte vantare significative ascendenze nell’ambito della stessa cultura cattolica.
Si tratta di un concetto di laicità (ben distinto da quello di laicismo) che appare chiaramente nei suoi contenuti dall’intervento di GiorgioLa Pirain sede di Assemblea costituente nel 1947; sulla qualificazione del nuovo Stato dal punto di vista confessionale. Egli infatti osservava che era necessario costruire uno Stato che rispetti l’intrinseca orientazione religiosa del singolo e della collettività e che ad essa conformi tutta la sua struttura giuridica e sociale.
Si deve infine ricordare il principio della libertĂ religiosa, in quanto, a differenza del passato,la Costituzionegarantisce nella maniera piĂą ampia la libertĂ religiosa, sia ai singoli sia alle formazioni sociali (art. 19; art. 8.1), configurandola appunto come diritto soggettivo pubblico e tutelandola congiuntamente al divieto di discriminazioni per motivi religiosi (art. 3.1, art. 20).
Ma il problema dei rapporti tra Stato e Chiesa cattolica (art. 7) deve essere considerato in una più ampia visione, che poi è quella che regge l’intero testo costituzionale, della quale i punti più importanti sono:
il riconoscimento delle formazioni sociali nel quadro di una visione pluralistica; una nuova concezione della sovranità statale; la conseguente visione delle complessive e più vaste relazioni tra Stato e altri ordinamenti. Trattasi di direttive nelle quali è ravvisabile il massimo influsso del pensiero cattolico francese sull’elaborazione del testo costituzionale.