I cittadini appartenenti ad una confessione religiosa si trovano in una particolare condizione: sono sottoposti coattivamente all’ordinamento statale e volontariamente all’ordinamento della propria confessione.
Le norme di diritto ecclesiastico civile rilevanti nell’ordinamento statale e riguardanti la condizione giuridica degli ecclesiastici sono diverse.
Vanno esaminate, anzitutto, quelle contenute nell’Accordo di modificazione del Concordato lateranense del 1984.
L’art. 4 dispone per gli ecclesiastici la facoltà di chiedere l’esonero per il servizio militare e di non dare ai magistrati “informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza in virtù del proprio ministero”: non si tratta di un divieto assoluto, in quanto gli ecclesiastici sono liberi di comportarsi diversamente. Ancora l’art. 4 concede agli studenti di teologia e ai novizi degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica di “usufruire degli stessi rinvii dal servizio militare riconosciuti agli studenti delle università italiane”. È inoltre stabilito che “in caso di mobilitazione gli ecclesiastici non assegnati alla cura di anime sono chiamati ad esercitare il ministero tra le truppe, o, subordinatamente, assegnati ai servizi sanitari”.
È stabilito che gli ecclesiastici possono effettuare collette “all’ingresso o all’interno degli edifici di culto o ecclesiastici”, e che essi devono ritenersi ufficiali di stato civile per quanto riguarda il matrimonio religioso ad effetti civili.
In caso di epidemie o calamità, anche i ministri di culto possono validamente ricevere un testamento “in presenza di due testimoni di età superiore ai sedici anni”.
L’illecito commesso da un religioso nell’esecuzione di un’attività svolta col consenso dei superiori, impegna questi ultimi e l’ente committente della prestazione e l’obbedienza del religioso verso i suoi superiori è considerata dal diritto statale “come ogni altra obbedienza legalmente dovuta”.
Quanto alle norme penali sulla condizione giuridica degli ecclesiastici, i ministri di culto possono essere sia soggetti attivi che passivi di un reato. Nel primo caso, “l’aver commesso il fatto con abuso di potere o con violazione di doveri” costituisce un aggravante, per cui la pena è aumentata fino ad un terzo. Nel secondo caso, l’aver commesso un reato sia nei confronti dei ministri di culto cattolico che di un culto ammesso nello Stato costituisce un aggravante.
Le norme del c.p. riguardanti il fattore religioso sono quelle sul reato di vilipendio sia nei confronti delle persone che delle cose.
Nel caso di turbamento di funzioni religiose del culto cattolico, costituisce un aggravante il concorso di violenza o di minaccia alle persone.
Il capo del c.p. intitolato “Dei delitti contro la pietà dei defunti”, punisce: la violazione del sepolcro, il vilipendio delle tombe o delle cose destinate al culto dei defunti, il turbamento di un funerale o di un servizio funebre, il vilipendio, la distruzione, soppressione o sottrazione, l’occultamento e l’uso illegittimo di cadavere.
La bestemmia è considerata una contravvenzione per cui è prevista solo un’ammenda.
Norme penali si ritrovano anche nel Trattato lateranense.
Poiché “la persona del Sommo Pontefice è considerata dallo Stato italiano sacra e inviolabile, l’attentato contro di essa e la provocazione a commetterlo, come anche le offese e le ingiurie pubbliche, sono punibili con le sanzioni previste per i medesimi reati perpetrati nei confronti del Presidente della Repubblica”. “A richiesta della Santa Sede e per delegazione di quest’ultima, l’Italia si impegna a punire i delitti commessi nella Città del Vaticano, salvo quando il reo si rifugi in territorio italiano, nel qual caso nei suoi confronti si procede secondo le leggi italiane. Dal canto suo,la Santa Sedeconsegnerà allo Stato le persone rifugiate nella Città del Vaticano o negli immobili immuni, imputate di atti, commessi nello Stato italiano, che siano ritenuti delittuosi da entrambi gli Stati.”
“Le persone aventi stabile residenza nella Città del Vaticano” sono sottoposte alla sovranità della Santa Sede, anche in concorrenza, in caso di doppia cittadinanza, con la giurisdizione di altri Stati.
Molto importante è l’art. 23 del Trattato lateranense, che riconosce rilevanza nell’ordinamento italiano alle sentenze ed ai provvedimenti delle Autorità ecclesiastiche, riguardo persone ecclesiastiche o religiose in materia spirituale o disciplinare. Alla luce di questa disposizione, il giudice civile non può negare efficacia giuridica ad un provvedimento canonico in senso stretto, che incide sulla situazione giuridica soggettiva di un soggetto, come la rimozione dalla funzione di parroco. L’ecclesiastico può rivolgersi al giudice solo nel caso in cui vi sia stata una violazione procedimentale o se sia stata lesa una sua libertà fondamentale di cittadino, e in tal caso ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale.