Viene istituito così un insegnamento attraverso il quale la Chiesa cattolica può esplicare nelle scuole statali il suo munus docendi, cioè il suo essenziale compito della evangelizzazione, e che quindi costituisce un ufficio ecclesiastico. È vero che l’insegnamento della religione avviene, secondo una formula di ambigua lettura, “nel quadro delle finalità della scuola”, rispetto alle quali quell’insegnamento dovrebbe in chiave culturale e non già di indottrinamento.
È sintomatico che la Corte costituzionale affermi il principio di laicità dello Stato in occasione di questioni relative all’insegnamento della religione cattolica nelle scuole, che rappresentano proprio un caso di conferimento di partecipazione all’esplicazione di poteri pubblici a favore di un’organizzazione di tendenza religiosa. La Corte considera tale insegnamento “coerente con la forma di Stato laico della Repubblica italiana”, una volta che lo Stato-comunità garantisca allo studente il diritto all’autodeterminazione consistente nel non avvalersi di detto insegnamento.
Abbiamo già visto come sia stato riconosciuto allo studente il diritto di avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica. Quello che viene concesso in termini di riconoscimento astratto può venire in parte tolto attraverso i meccanismi predisposti per dare effettiva attuazione a questo riconoscimento; per cui si tratta di vedere se siffatti meccanismi siano approntati in modo:
a) da consentire veramente al diretto interessato la libera scelta se avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione;
b) da non scoraggiare o rendere particolarmente difficile la scelta in favore del non avvalersi dell’insegnamento della religione, in modo da pilotare la scelta in senso contrario.
Per quanto riguarda il punto b) va detto che nessun problema sarebbe sorto se si legesse la norma dell’art. 9 n. 2 del concordato, cioè l’insegnamento della religione cattolica è da considerarsi facoltativo, con la conseguenza che per coloro che usufruiscono di tale insegnamento dovrebbe essere previsto un orario aggiuntivo.
- Attraverso la burocrazie ministeriale e la giurisprudenza del Consiglio di Stato, è stata effettuata un’operazione di recupero, che è passata attraverso due fasi progressive:
la prima fase è consistita nel far passare l’insegnamento della religione cattolica da meramente facoltativo ad opzionale rispetto ad insegnamenti alternativi e da determinare anche in relazione alla concreta attuabilità; - la seconda fase è consistita nel trasformare questa raggiunta opzionalità da libera in obbligatoria, nel senso che gli studenti che non vogliono avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica sono obbligati a seguire l’insegnamento alternativo.
Questa seconda fase è stata bloccata dalla Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato che “per quanti decidono di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica l’alternativa è uno stato di non obbligo”. La Corte Costituzionale ha dovuto ribadire che lo stato di non obbligo ha la funzione “di non rendere equivalenti e alternativi l’insegnamento della religione cattolica ed altro impegno scolastico, per non condizionare dall’esterno della coscienza individuale l’esercizio di una libertà costituzionale, come quella religiosa, coinvolgente l’interiorità della persona”.
“Alla stregua dell’attuale organizzazione scolastica è innegabile che lo stato di non-obbligo può comprendere, tra le altre possibili, anche la scelta di allontanarsi o assentarsi dall’edificio della scuola”.
Ulteriore garanzia è costituita da un impegno che, nelle rispettive intese, alcune confessioni hanno richiesto, quello cioè secondo cui “l’ordinamento scolastico provvede a che … non siano previste forme di insegnamento religioso diffuso nello svolgimento dei programmi di altre discipline”.
Questo impegno è più semplice nell’ambito della scuola media, ma molto meno nell’ambito della scuola elementare, “la scuola riconosce il valore della realtà religiosa come un dato storicamente, culturalmente e moralmente incarnato nella realtà sociale in cui il fanciullo vive”, ed allora diventa molto difficile distinguere tra religione cattolica come comunicazione di tipo catechistico e religione cattolica come dato culturalmente rilevante.
Una circolare ministeriale del 13 febbraio 1992 suggeriva che i Consigli di circolo o di istituto potessero deliberare di far rientrare fra dette attività extrascolastiche “la partecipazione a riti e cerimonie religiose” nonché gli incontri delle scolaresche con i vescovi diocesani nell’ambito delle visite pastorali da essi effettuate.
Le delibere con cui i Consigli d’Istituto consentono pratiche religiose in sostituzione delle normali ore di lezione sono illegittime, innanzitutto per un motivo formale, perché cioè l’indicato testo normativo, nel riferirsi ad attività extrascolastiche, indica esplicitamente “attività culturali, sportive e ricreative”; ed in secondo luogo sono illegittime per un motivo sostanziale, perché cioè se la Chiesa fosse legittimata a compiere pratiche religiose nelle sedi scolastiche, “assisteremmo ad una vera interferenza della Chiesa nell’attività dell’istituzione statale, esclusa e non consentita dalla Costituzione”.