In passato il sostentamento del clero era condizionato dal sistema beneficiale, nel senso che all’ufficio ecclesiastico di parroco, vescovo o cardinale, spesso si accompagnava un beneficio, cioè un insieme di beni attraverso cui avveniva il sostentamento dell’ufficio stesso. L’ammontare di questi beni era così rilevante che spesso sorgevano dispute sull’amministrazione di quelli vacanti, che ritornavano all’autorità civile fino alla nomina di un nuovo titolare ecclesiastico. Questi erano i c.d. diritti di regalia, che furono mantenuti dalla legge delle guarentigie ed aboliti poi dal Concordato del 1929.

Tuttavia il sistema beneficiale era insufficiente, sia perché non tutti gli uffici ecclesiastici godevano di un beneficio, sia perché vi erano molti ecclesiastici sprovvisti di uffici. Lo Stato decise allora di intervenire attraverso i supplementi di congrua, cioè delle integrazioni della rendita di ciascuno fino a un minimo ritenuto dignitoso. L’ammontare di tali integrazioni variava anche in base alla funzione svolta.

Si realizzò così un sistema che impegnava sia la Chiesache lo Stato e che consentiva a quest’ultimo anche di esercitare un certo controllo sul clero. Il nuovo Codex iuris canonici del 1983 non ha abolito il sistema beneficiale, rendendo così indispensabile un intervento normativo in materia.

Ciò è stato realizzato con la legge 222/1985. In essa si stabilisce di istituire in ogni diocesi l’ “Istituto per il sostentamento del clero” o Istituti interdiocesani, oltre ad un Istituto centrale “che integri le riserve degli altri Istituti”, tutti aventi personalità giuridica, al fine di garantire “il dignitoso sostentamento del clero che è al servizio della diocesi”. La retribuzione “è equiparata, solo ai fini fiscali, al reddito da lavoro dipendente” e “L’Istituto centrale effettua le ritenute fiscali e versa i contributi previdenziali e l’Irpef”.

I beni beneficiari estinti confluiscono negli Istituti, che succedono in tutti i rapporti attivi e passivi.

I singoli sacerdoti sono tenuti a comunicare all’Istituto diocesano “l’ammontare della remunerazione che ricevono dagli enti ecclesiastici presso cui esercitano il ministero, e gli stipendi che eventualmente percepiscono da altri soggetti”. Se la somma dei proventi risulta inferiore alla misura determinata dalla C.E.I., l’Istituto stabilisce l’integrazione spettante, dandone comunicazione all’interessato”. All’integrazione si provvede mediante i redditi patrimoniali di ciascun Istituto integrati, se insufficienti, dall’Istituto centrale. “Le entrate dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero sono costituite dalle oblazioni dei fedeli”, le persone fisiche possono dedurle dal proprio reddito fino all’ammontare di due milioni, e dalle somme da versare alla C.E.I. risultanti dalla destinazione dell’8/1000 dell’Irpef.

Quanto alle confessioni acattoliche, non è destinata al sostentamento del clero ma solo ad “interventi sociali, assistenziali, umanitari e culturali”, la ripartizione della quota dell’8/1000 dell’Irpef che, dopo l’intesa, hanno sottoscritto i valdesi.

Anche le altre intese prevedono la destinazione dell’8/1000 ad iniziative sociali ed umanitarie, per cui è evidente che lo Stato non assume obblighi verso il clero acattolico.

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