La Chiesa cattolica è considerata soggetto di diritto internazionale, o per lo meno è considerata tale la Santa Sede, che in qualità di organo supremo di governo della Chiesa è legittimata ad intrecciare relazioni con le autorità statuali; e di fatto gli strumenti di negoziazione della Chiesa cattolica con gli Stati vengono normalmente considerati analoghi ai trattati, attraverso cui, per l’appunto, si ha l’incontro delle volontà di due Stati, dirette a regolare una determinata sfera di rapporti che li riguardano.

Qualche dubbio sulla esistenza, nel nostro sistema costituzionale, della indicata regola di bilateralità deriva da un’interpretazione strettamente letterale dell’art. 7 c. 2° Cost., secondo cui i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica “sono regolati dai Patti Lateranensi. Le loro modificazioni, accettate dalle due Parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”.

L’art. 7 c. 2° Cost., vuole affermare in modo permanente il principio di bilateralità. L’art. 7 c. 2° è inserito tra i principi fondamentali, è una norma di principio: essa è una norma sulla produzione giuridica, vuole indicare cioè in via generale come si può produrre diritto quando a questa produzione sia interessata la Chiesa cattolica, ed all’uopo stabilisce in via permanente il principio patrizio, ossia il principio di bilateralità, secondo cui le materie di comune interesse devono essere regolate attraverso una previa contrattazione fra il gruppo confessionale e lo Stato. Il principio di bilateralità è sancito, anche rispetto alle confessioni diverse dalla cattolica.

Il contenuto degli accordi con la Chiesa cattolica e delle intese con le altre confessioni religiose viene “letteralmente indicato nella disciplina dei rapporti”. Abbiamo visto quale sia l’obiettivo fondamentale della negoziazione: quello cioè a) di ritirare il raggio d’azione delle norme statuali per consentire ai poteri confessionali la loro massima espansione; b) di munire tali poteri confessionali di efficacia civile, rendendoli quindi operanti nei confronti di tutta la società civile.

In un tentativo di delimitazione delle materie negoziabili, un’attenta dottrina, sul presupposto che l’art. 7 c. 1° Cost. consenta “l’esatta individuazione” dell’ordine proprio della Chiesa, sostiene “la stretta interdipendenza” della regola della bilateralità col riconoscimento costituzionale di una peculiare indipendenza delle confessioni religiose, nel senso che rapporti bilaterali sarebbero ammissibili solo in relazione alle materie circa le quali è riconosciuta la competenza esclusiva delle confessioni, materie cioè rientranti nell’”ordine” proprio della Chiesa.

Non pare dunque possibile circoscrivere con sicurezza le materie riconducibili ai rapporti con gli ordinamenti confessionali e relativamente alle quali soltanto il legislatore è vincolato alla regola della bilateralità. La disciplina di una materia costituisce dunque un mezzo rispetto ai fini dell’ordinamento.

Molto spesso la regolamentazione di una materia può essere funzionale ai fini, pur diversi fra loro, di più ordinamenti.

Questo perché, specialmente nel caso nostro, “la demarcazione del confine fra l’ordine civile e quello religioso non si articola per tipi di materie bensì per tipi di valore”, nel senso che una medesima materia può essere contemporaneamente oggetto di una valutazione sul metro di valori religiosi e di una valutazione sul metro di valori statuali.

È inevitabile, perciò, che l’ambito delle materie negoziabili rimanga indeterminato. Questo non significa che la determinazione delle materie sia abbandonata al più completo arbitrio dei due interlocutori ed ai loro mutevoli rapporti di forza.

In mancanza di espressa riserva, tutte le materie sono di comune interesse. Tutte le materie sono, paradossalmente miste. Il riconoscimento dunque ad una materia il carattere di materia mista significa riconoscere che essa, oltre ad elementi regolabili dall’ordinamento statuale, presenta pure elementi estranei, che evidentemente sono regolati dall’ordinamento confessionale.

Esistono poteri ordinamentali del gruppo sociale non solo in ordine a settori della vita che il potere politico considera ad esso estranei, ma anche in ordine a settori della vita che il potere politico si ritiene legittimato a disciplinare.

Esistono dunque attività (poteri) a valenza plurima, oggetto di rivendicazione di autonomia confessionale da una parte, di doverosa disciplina statualistica dall’altra; i poteri confessionali si esplicano all’interno dei diversi ordinamenti territoriali, quindi possono esserci sovrapposizioni ed è necessario trovare soluzioni specifiche.

È evidente che rispetto agli ordinamenti confessionali, la cui estraneità non è collegabile ad un territorio diverso da quello statuale, l’utilizzazione aprioristica delle soluzioni suggerite dal diritto internazionale privato costituirebbe espediente artificioso e produttivo di conseguenze abnormi. L’ordinamento confessionale esiste sullo stesso territorio che delimita lo Stato e intende regolare situazioni e rapporti di soggetti che sono anche cittadini dello Stato o comunque operano stabilmente sul territorio dello Stato.

Questo non esclude che meccanismi per attuare auto-collegamenti con ordinamenti stranieri, dotati di una valenza logica non condizionata dai normali presupposti di carattere territoriale, possano essere per comodità utilizzati anche per realizzare collegamenti con l’ordinamento confessionale.

 

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