Si vorrebbe configurare la materia attinente “all’assetto fondamentale di una comunità statale”, di modo che essa avrebbe valore costituzionale anche se non disciplinata espressamente da norme della costituzione scritta.
Neppure questa via, dunque, appare percorribile in modo convincente per sostenere la persistenza della copertura costituzionale dei nuovi accordi fra Stato e Chiesa cattolica, nel momento in cui si ritenesse che tale copertura veramente non può più evincersi dal sistema della costituzione formale.
La previsione costituzionale della regola di bilateralità avrebbe dunque come effetto l’impossibilità, per il legislatore ordinario, di addivenire unilateralmente ad una modifica o sostituzione della normativa già bilateralmente adottata, normativa che sarebbe assolutamente intangibile.
Una copertura costituzionale nel senso di integrale intangibilità delle norme di derivazione pattizia recepite nel nostro ordinamento non è in alcun modo ricavabile dagli art. 7 c. 2° e 8 c. 3° Cost.
Si può tuttavia obiettare che non si può negare al legislatore ordinario la possibilità di avere ripensamenti sull’opportunità di un regime bilaterale, allorché il contegno di una confessione religiosa, irrispettoso di valori costituzionali come quelli del pluralismo e della tolleranza, sconsigli il mantenimento di un collegamento con un soggetto che si presenta come ostile al quadro complessivo dei valori costituzionali.
Quanto ora detto dovrebbe valere anche a risolvere il problema concernente l’ammissibilità del referendum abrogativo in relazione alle norme di esecuzione degli Accordi con la Chiesa cattolica. La Corte Costituzionale ha risolto negativamente il problema, partendo innanzitutto dal principio secondo cui ciò che esorbita dal potere di disposizione del legislatore ordinario è sottratto anche al popolo nell’esercizio del referendum abrogativo.
In effetti, l’art. 75 c. 2° Cost. esclude dal referendum le leggi “di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”. In sostanza, l’ordine di esecuzione costituisce semplice articolazione di un procedimento unitario teso alla stipulazione ed alla attuazione di un trattato.
Questo ampliamento dell’ambito di esclusione del referendum abrogativo comporta che l’intervento abrogativo popolare è escluso non solo nei confronti del vero e proprio ordine di esecuzione del concordato ma anche nei confronti di tutte le leggi di applicazione che stanno cominciando a fiorire in relazione alle disparate materie contenute nel concordato.
Le norme di derivazione negoziale sono difese, contro il potere di modifica del legislatore ordinario, dalla regola della bilateralità che esige la conformazione delle leggi ordinarie alla già introdotta normativa di derivazione concordataria.
Com’è noto, la forza attiva di una legge è la sua capacità di innovare nel mondo del diritto. Normalmente, la capacità di innovazione di cui gode la legge, in un ordinamento a costituzione rigida come il nostro, incontra il limite del non contrasto con le norme, gerarchicamente sovraordinate, della Costituzione: se risulta superato questo limite, l’organo di controllo dichiara la illegittimità costituzionale della legge stessa.
Qui nella legalità costituzionale si apre una profonda breccia, nel senso che lo specifico settore di produzione normativa previsto dall’art. 7 c. 2° Cost. sarebbe costituito da norme sostanzialmente “assimilate a norme costituzionali”, come si evince dal fatto che per modificarle unilateralmente occorre utilizzare il procedimento rinforzato predisposto dall’art. 138 proprio per la produzione di norme di valore costituzionale. La Corte Costituzionale, se caducasse una norma concordataria, entrerebbe praticamente in competizione con il potere costituente.
Se dunque risultasse che una norma concordataria contrasti con qualcuno di questi principi supremi, allora la Corte Costituzionale potrebbe dichiararla costituzionalmente illegittima.
La questione non sarebbe più di attualità se si considerasse che la possibilità di configurare il diritto concordatario come un diritto speciale paracostituzionale dipenda dal fatto che l’art. 7 c. 2° contiene “un preciso riferimento al concordato in vigore” fino al 1984 ed ora non più esistente. La copertura costituzionale si riferisce unicamente alla forza passiva delle norme di derivazione concordataria ma non fornisce più alle nuove norme concordatarie un gradino superiore. Di conseguenza potrebbe essere esperito un controllo di legittimità costituzionale in tutta la estensione che questa forma di controllo normalmente ha, avendo cioè come parametro qualunque principio costituzionale e non già soltanto quelli riconducibili ai principi supremi.
Invece la Corte Costituzionale difende dai suoi stessi poteri anche il nuovo diritto concordatario, giustificando questa continuità con la considerazione che le norme del concordato del 1984 non configurerebbero un corpo normativo nuovo, bensì rappresenterebbero delle pure e semplici modificazioni del preesistente corpo normativo, di guisa che la copertura di cui godeva quello si estende a questo.
Sembrerebbe allora necessario individuare con sicurezza questi principi supremi, ma un’operazione del genere lascia il tempo che trova. La Corte parte dalla considerazione della funzione e del ruolo politico che ha l’Accordo con la Chiesa cattolica, ossia il mantenimento della pace religiosa necessaria all’Italia data la enorme rilevanza sociale della religione cattolica.