Gli ordinamenti confessionali presentano strutture complesse, articolate in una varietà di enti con diverse finalità, che a determinate condizioni possono ottenere il riconoscimento della personalità giuridica. Rispetto a tali enti l’art. 20 Cost. stabilisce l’illegittimità di qualsiasi disciplina che ne stabilisca un trattamento peggiore di quello riservato agli enti civili. Riguardo a tale divieto la norma sembra distinguere gli enti religiosi in enti che abbiano carattere ecclesiastico ed enti che abbiano fine di religione o di culto. Risulta piuttosto difficile pensare che nel sistema attuale il predicato ecclesiastico valga a distinguere gli enti cattolici dagli altri enti religiosi, in quanto tale predicato è utilizzato anche con riferimento alle altre confessioni cristiane (es. valdesi, pentecostali ma non buddisti). Il fine di religione o di culto , peraltro, sembra ormai una condizione necessaria per la riconoscibilità di un ente confessionale come persona giuridica. Il fine di religione e di culto, quindi, sembra costituire la nota individuante del carattere ecclesiastico.
In questa prospettiva, l’art. 20 Cost. indicherebbe i due profili dell’ecclesiasticità, quello relativo alla natura del soggetto (ente ecclesiastico come ente confessionale) e quello relativo alla sua attività (religione o culto), rispetto ai quali risulta ingiustificata ogni disparità di trattamento rispetto ad altri soggetti che agiscono nel medesimo ordinamento, salva la possibile legittimità di una disciplina preferenziale a favore degli enti religiosi che sia limitata all’area dell’attività attinente alle finalità di religione e di culto.
Sembra profilarsi una disciplina del riconoscimento degli enti religiosi potenzialmente capace di assurgere a regola generale, la quale, tuttavia, potrebbe accrescere il divario tra confessioni munite di intesa e confessioni senza intesa, i cui enti non risultano oggetto di un identico trattamento, in contrasto con il principio di uguaglianza ex art. 20 Cost. Tale divario appare particolarmente rilevante se dalle regole relative al riconoscimento si passa alle regole relative all’amministrazione degli enti: gli enti confessionali privi di intesa, infatti, sono soggetti ad una penetrante vigilanza governativa che arriva fino al commissariamento dell’ente, mentre la gestione degli enti religiosi si svolge sotto il controllo dei competenti organi della confessione senza alcuna ingerenza da parte dello Stato. La revisione concordataria e la stipulazione delle intese, quindi, sembrano aver dato nuove potenzialità alla disciplina di cui all’art. 20, stimolandone la funzione di presidio costituzionale di una realizzata uguaglianza tra le confessioni, oltre che nella libertà anche nel trattamento.