La Repubblica “protegge la maternità” e sancisce che “le condizioni di lavoro” della donna lavoratrice “devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”. In attuazione di tali principi, il legislatore ordinario ha dettato una disciplina inizialmente caratterizzata dalla finalità di protezione della salute della madre e del bambino. Tale disciplina si è evoluta, nel tempo, in due direzioni.

Da un lato, sono stati presi in considerazione anche ulteriori bisogni affettivi e di “conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro”. Dall’altro lato, le tutele legali sono state estese anche a favore del lavoratore padre. Viene, così, riconosciuto rilievo alle esigenze affettive di entrambi i genitori, e, allo stesso tempo, superando retaggi culturali, si mira a corresponsabilizzare anche il lavoratore padre nello “adempimento dei compiti” relativi alla formazione della famiglia.

Con gli opportuni adattamenti, le stesse tutele sono state, altresì, estese a favore dei genitori adottivi o affidatari. Le diverse disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità sono state raccolte in un testo unico. Per l’esigenza di protezione della salute, la legge prevede un divieto temporaneo di adibizione della lavoratrice a determinate attività, durante il periodo di gravidanza e fino a 7 mesi di età del figlio.

Il divieto riguarda il trasporto ed il sollevamento pesi, nonché, in generale, i lavori pericolosi, faticosi, insalubri; nei casi in cui opera tale divieto la lavoratrice è temporaneamente assegnata ad altre mansioni, anche inferiori. Lo spostamento ad altre mansioni deve essere disposto anche nel caso venga accertato dai servizi ispettivi pubblici che le condizioni di lavoro o ambientali sono pregiudizievoli alla salute della donna.

Nel caso in cui lo spostamento non sia possibile, gli stessi servizi ispettivi dispongono l’interdizione dal lavoro. Nel periodo pre e post partum, alla lavoratrice è, poi, riconosciuto un congedo di maternità della durata complessiva di almeno 5 mesi, durante il quale opera un divieto assoluto di adibizione al lavoro. La durata di tale divieto può essere estesa quando la lavoratrice sia addetta a lavori gravosi o pregiudizievoli, o quando siano comunque accertate situazioni di rischio per la salute.

Il congedo di maternità ricomprende, di norma, i due mesi precedenti la data presunta del parto e i tre mesi successivi alla data in cui il parto è effettivamente avvenuto. Ove il parto avvenga dopo la data presunta, si aggiungono al periodo di congedo i giorni intercorrenti tra data presunta e data effettiva; ove il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, i giorni non goduti si aggiungono, comunque, a quelli spettanti dopo il parto. Ferma restando la durata complessiva, alla lavoratrice è riservata una limitata disponibilità di modificare l’inizio ed il termine del congedo di maternità, avendo la facoltà di astenersi dal lavoro “a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi”, sempreché risulti accertato che ciò non arrechi pregiudizio né alla gestante, né al nascituro.

È stato previsto che il periodo di congedo post partum può essere sospeso in caso di ricovero del neonato in una struttura pubblica o privata, onde proseguirne la fruizione, nella parte non goduta, al momento di dimissione del bambino. L’inosservanza delle disposizioni relative ai divieti di adibizione al lavoro sono sanzionate penalmente. Dal punto di vista della tutela economica, la lavoratrice ha diritto ad una indennità giornaliera pari all’80% della retribuzione, a carico dell’INPS (anche ove venga anticipata dal datore di lavoro), per tutto il periodo del congedo di maternità.

Tale periodo, inoltre, è computato nell’anzianità di servizio “a tutti gli effetti”, come se si trattasse di periodo di lavoro. Soltanto ai fini della progressione di carriera è consentito ai contratti collettivi prevedere “particolari requisiti”.

L’indennità di maternità continua ad essere corrisposta anche nei casi in cui:

a) il rapporto di lavoro venga risolto durante il periodo di congedo a causa della cessazione dell’attività dell’azienda o della scadenza del termine apposto al rapporto di lavoro;

b) le lavoratrici gestanti si trovino, all’inizio del periodo di congedo, in una situazione di sospensione dal lavoro, di assenza dal lavoro senza retribuzione, o di disoccupazione, sempreché tale situazione si sia verificata entro 60 giorni dalla predetta data di inizio del congedo.

Quella natura emerge, altresì, dal fatto che, sia pure a diverse condizioni, un trattamento economico di maternità è stato previsto anche per le lavoratrici autonome, le libere professioniste, le imprenditrici, le lavoratrici parasubordinate e, in determinati casi, anche al padre lavoratore autonomo. Infine, in aggiunta al congedo di maternità, durante il primo anno di vita del bambino, è previsto il diritto della lavoratrice madre o, in determinati casi, del lavoratore padre di fruire di riposi giornalieri retribuiti (precisamente della durata complessiva di due ore, ridotta ad un’ora nel caso di orario giornaliero di lavoro inferiore a sei ore).

 

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