Titolarità del diritto di sciopero
Il diritto di sciopero viene riconosciuto come un diritto individuale quanto al titolare, ma collettivo quanto all’esercizio, vale a dire che un abbandono del lavoro assurge ad esercizio del diritto di sciopero, solo se ed in quanto attuato da un numero più o meno consistente di prestatori per un fine comune.
Ambito del diritto di sciopero
Il significato legale di sciopero, fatto proprio nell’art. 40, coincide con il significato comune, accreditato nel sociale: sicché è sciopero solo quello consolidato come tale nel sentire e nella prassi sindacale, cioè un abbandono del lavoro, collettivo nello svolgimento e nel fine. Secondo un giudicato della Cassazione, il significato attribuibile allo sciopero è “quello che la parola ed il concetto da esso sotteso hanno nel comune linguaggio adottato nell’ambiente sociale”, vale a dire “nulla più che un’astensione collettiva dal lavoro, disposta da una pluralità di lavoratori, per il raggiungimento di un fine comune”. Sorge a questo proposito la questione dei limiti esterni, determinati dall’impatto potenziale dell’abbandono del lavoro su qualche altro diritto costituzionale, pari-ordinato o preminente; in proposito si è espressa la Corte Costituzionale, la quale, mentre liberalizza lo sciopero dei pubblici dipendenti, limita la titolarità e l’esercizio dello sciopero degli addetti a funzioni o servizi pubblici essenziali e dei marittimi, in vista della protezione delle persone e delle cose coinvolte.
I soggetti titolari del diritto di sciopero
Titolari del diritto di sciopero sono: il prestatore subordinato – l’apprendista – il lavoratore in prova – il lavoratore a tempo determinato – il lavoratore a tempo parziale – il lavoratore a domicilio – il lavoratore parasubordinato; inoltre, con la legge n° 83/2000 viene estesa l’applicabilità di alcune regole dello sciopero anche a lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori. Non sono titolari del diritto di sciopero militari e poliziotti.
I modi attuativi del diritto di sciopero
Innanzitutto c’è una FASE PRELIMINARE, costituita dalla presentazione e definizione della piattaforma, dalla richiesta e dall’eventuale apertura di una trattativa, dalla deliberazione e proclamazione delle lotte; non è dunque necessario rispettare sempre e comunque l’obbligo di preavviso (vale solo se previsto). Segue quello che, in lingua povera, è lo sciopero vero e proprio, ossia “l’abbandono del lavoro” o “l’astensione dal lavoro”; si tratta di un fenomeno multiforme, variante a seconda della durata, dell’estensione, dell’articolazione della lotta.
DURATA: distinzione fra sciopero ad oltranza (progettato e proseguito fino al successo o al fallimento finale) e lo sciopero a tempo (programmato e condotto per un certo tempo). Sciopero breve (tempo inferiore all’orario giornaliero), sciopero dimostrativo o simbolico (tempo molto breve, in segno di solidarietà).
ESTENSIONE: sciopero generale (potenzialmente estesa all’esteso all’intero universo del lavoro subordinato). Sciopero categoriale (nazionale, di gruppo, locale), sciopero aziendale (d’azienda, di stabilimento, di reparto, e che può essere “totale” o “parziale”).
ARTICOLAZIONE: è la caratteristica più attuale e significativa, per cui l’astensione collettiva viene programmata, sì da non risolversi in una contemporanea e continua interruzione della prestazione, ma articolarsi secondo una data combinazione spaziale e/o temporale. Si distingue tra sciopero a singhiozzo, costituito da un susseguirsi di brevi interruzioni e riprese del lavoro, da parte di tutti i lavoratori interessati, e sciopero a scacchiera, dato da un alternarsi di interruzioni del lavoro, volta a volta da parte dei soli lavoratori di determinati reparti, gruppi, profili professionali.
Evoluzione della valutazione dello sciopero cosiddetto articolato nella Giurisprudenza della Cassazione:
A) Nel periodo iniziale, che giunge fin quasi a mezzo decennio ’70, lo sciopero cosiddetto articolato è tenuto al bando, con un discorso piuttosto vario, ma tutto segnato da un netto apriorismo ideologico e definitorio. Secondo un primo approccio, si parla dello stesso concetto di sciopero di cui all’art. 40, distinguendo tra uno sciopero semplice, visto come un abbandono del lavoro contestuale e continuo; uno più complesso, come un abbandono del lavoro causativo di un “danno ingiusto”. Secondo un ulteriore approccio, si parte dal rinvio “alle leggi che lo regolano” di cui sempre all’art. 40: in questo caso, lo sciopero deve essere esercitato nel rispetto dei principi generali di correttezza e di buona fede in fase di esecuzione del contratto, nonché dei doveri specifici di collaborazione subordinata e di diligenza nello svolgimento del rapporto di lavoro.
B) Nel periodo successivo, lo sciopero cosiddetto articolato appare ormai largamente diffuso e relativamente accettato. Di fronte ad uno sciopero articolato l’accento è posto non più sul modo attuativo, ma sul rendimento del lavoro offerto dal personale attualmente non scioperante; ugualmente, di fronte ad uno sciopero in lavorazioni a ciclo continuo od integrato, l’accento è posto sul rendimento del lavoro reso disponibile dal personale al termine dello stesso, lavoro che deve essere non solo utilizzabile, ma anche proficuo, secondo lo standard normale (ossia idoneo a conseguire l’intero risultato produttivo dedotto ed atteso, e, per di più, a conseguirlo senza costo od onere aggiuntivo per lo stesso lavoratore). Altrimenti il datore può ben rifiutarlo e non retribuirlo, come non corrispondente a quanto contrattualmente dovuto, facendo ricorso all’eccezione di inadempimento (art. 1460 cod. civ. ), oppure al rifiuto giustificato delle collaborazione all’adempimento.
C) L’ultimo periodo, che inizia nel decennio ’80, è caratterizzato dall’incontro, grazie all’intervento della Corte di Cassazione, di concetti: quello legale di sciopero, di cui all’art. 40 Cost. , e quello comune di sciopero, comprensivo dello stesso sciopero articolato. Il significato attribuibile allo sciopero deve essere quello corrente nel contesto sociale, ossia “nulla più di un’astensione dal lavoro, disposta da una pluralità di lavoratori, per il raggiungimento di un fine comune”. Lo stacco, rispetto al periodo precedente, appare assai più netto, anche per via del duplice aspetto alla base del nuovo indirizzo giurisprudenziale: innanzitutto viene ridisegnato l’ambito dei limiti esterni, con l’introduzione della necessità di tutelare l’impresa come “organizzazione istituzionale”; in secondo luogo, sopravvive il preesistente indirizzo circa il potere del datore di non accettare e retribuire il lavoro offerto negli intervalli di uno sciopero a singhiozzo, nei reparti volta a volta non coinvolti da uno sciopero a scacchiera, nei tempi di riavvio dell’impianto di lavorazioni a ciclo continuo od integrale interessate da uno sciopero.
Il punto di arrivo del cammino intrapreso dalla Corte di Cassazione ripropone il problema dell’ambito del diritto di sciopero; tale ambito appare circoscritto secondo il duplice criterio dei limiti interni e dei limiti esterni; per quanto riguarda i primi, essi possono essere individuati nel significato comune di sciopero, inteso come “astensione dal lavoro”: di conseguenza è esclusa ogni altra forma di lotta, comunque etichettata, che non si esprima con questa astensione, semplice o articolata.
In merito ai limiti esterni, invece, bisogna procedere secondo un duplice passaggio: in primo luogo c’è da accertare quale altro diritto costituzionalmente garantito sia sovra-ordinato o pari-ordinato al diritto di sciopero, sì da giustificarne un qualche limite; in secondo luogo c’è da verificare quale limite sia ammissibile, assoluto o relativo, escludente la stessa titolarità od incidente sul solo esercizio, rigido o flessibile; ma quali diritti costituzionalmente garantiti possono essere considerati sovra-ordinati od almeno pari-ordinati, tali da imporre sacrifici od almeno contemperamenti con riguardo agli scioperi? Sulla questione si dipanano numerose opinioni:
A)OPINIONE UNANIME: i diritti inerenti alla vita e all’integrità psico-fisica dell’individuo, che non possono essere esposti a rischi o a danni da eventuali abbandoni del lavoro.
B)OPINIONE MAGGIORITARIA: i diritti relativi alla libertà del singolo dipendente – non aderente ad uno sciopero – di raggiungere il posto di lavoro o comunque di svolgere il lavoro, nonché alla libertà del singolo imprenditore di disporre degli impianti e dei beni aziendali.
C)CORTE COSTITUZIONALE: “i diritti ed i poteri nei quali si esprime direttamente o indirettamente la sovranità popolare”.
D)CORTE DI CASSAZIONE: l’impresa come “organizzazione istituzionale e non gestionale”, cioè la “produttività e non la produzione aziendale”.
Nel caso della verifica del sacrificio conseguentemente necessario, è evidente anche qui un certo processo evolutivo, sia per quanto attiene l’accertamento del rischio o del danno relativo all’altro diritto, sia per quanto concerne la determinazione del sacrificio richiesto al diritto di sciopero.