L’orario normale di lavoro rappresenta la misura dell’estensione temporale ordinaria della prestazione lavorativa e, quindi, il limite temporale oltre il quale le prestazioni cessano di essere ordinarie e diventano straordinarie. Per lungo tempo la legislazione non ha previsto un orario normale, ma soltanto un orario massimo normale (otto/ quarantotto ore) ed un orario massimo complessivo, comprensivo dello straordinario (sessanta ore), lascando campo libero, per il resto, ai contratti collettivi. La prima disposizione che ha introdotto il concetto di orario normale è stata l’art. 13 della l. n. 196 del 1997, che lo ha fissato a quaranta ore, riducendo parallelamente anche l’orario complessivo (cinquantadue ore).
L’art. 3 della d.lgs. n. 66 del 2003, dopo aver ribadito che l’orario normale di lavoro è fissato in quaranta ore settimanali (co. 1), ha aggiunto che i contratti collettivi di lavoro possono stabilire, ai fini contrattuali, una durata minore e riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno (co. 2). Ai contratti collettivi in discorso, quindi, è data la facoltà di prevedere anche orari c.d. multiperiodali, ossia calcolati rapportando l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo che può allungarsi, come massimo, sino ad un anno. Nel quadro di tali regimi di orario flessibile l’orario normale si considera osservato se viene rispettata la media delle quaranta ore in un arco temporale dato: si viene quindi a consentire che in alcuni periodi venga superata la soglia delle quaranta ore (attraverso prestazioni non qualificabili come di lavoro straordinario), purché essa sia compensata da altri periodi con orari inferiori alle quaranta ore. Risulta tuttavia pur sempre doveroso rispettare il limite massimo settimanale dell’orario, come determinato dall’art. 4.
Per l’art. 17 co. 5, la disciplina in tema di orario sia normale sia massimo non si applica a alcuni lavoratori e, in particolare, a quelli la cui durata dell’orario di lavoro, a causa delle caratteristiche dell’attività esercitata, non è misurata o predeterminata o può essere determinata dai lavoratori stessi (es. dirigenti, personale direttivo delle aziende o di altre persone aventi potere di decisione autonomo; manodopera familiare; lavoratori nel settore liturgico delle chiese e delle comunità religiose; prestazioni rese nell’ambito di rapporti di lavoro a domicilio e di telelavoro).