Connesse al fenomeno appena trattato sono le molestie sessuali nel luogo di lavoro, disciplina questa che, dopo essere stata inizialmente ricondotta all’art. 2087, come il mobbing, è stata fatta oggetto di una specifica considerazione da parte del d.lgs. n. 145 del 2005, poi confluito nel Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (2006), il cui art. 26 co. 2 ha così definito il concetto di molestia sessuale: sono considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo .
La tendenza dell’ordinamento di trascinare il concetto di molestia nell’ambito degli atti discriminatori ha trovato forma definitiva nel citato d.lgs. n. 145 del 2005. Ciò potrebbe suscitare perplessità, dal momento che non pare vi sia bisogno, per qualificare come illecite le molestie, di considerarle discriminazioni, a meno che non si punti, tramite tale qualificazione, a realizzare sostanziali inversioni dell’onere della prova a carico del presunto autore della molestia.
La definizione legale sembra riferirsi a molestie poste in essere dal datore di lavoro. A tale proposito, si è altresì stabilito che gli atti, i patti o i provvedimenti concernenti il rapporto di lavoro dei lavoratori e delle lavoratrici vittime dei comportamenti di cui ai commi 1 e 2 sono nulli se adottati in conseguenza del rifiuto o della sottomissione ai comportamenti medesimi .
La lavoratrice o il lavoratore vittime di molestie possono richiedere al giudice il risarcimento anche del danno non patrimoniale. Qualora, poi, dalla condotta molesta siano derivare anche ripercussioni sullo stato di salute, sarà risarcibile anche il danno biologico patito.
Il datore di lavoro può essere chiamato a rispondere anche in modo indiretto delle molestie subite da una lavoratrice o un lavoratore, qualora non abbia fatto ciò che era ragionevolmente necessario e possibile per prevenirle. Ovviamente si deve tener conto che il datore di lavoro non ha diritto di ingerirsi paternalisticamente nella sfera delle relazioni private dei dipendenti, dovendo intervenire con decisione, per converso, soltanto nei casi in cui si profilino situazioni moleste.