I temi del lavoro sono stati tra i più caldi dell’azione del secondo governo Berlusconi (2001), sebbene lo sfondo del dibattito sia sempre stata l’Europa. Già nel 1997 (Strategia europea per l’Occupazione), comunque, si erano elaborate politiche comunitarie animate dall’intento di ridare vitalità ai depressi mercati del lavoro europei, sfidati dalla montante globalizzazione. Tali strategie sono stata ulteriormente perfezionate nel Consiglio europeo di Lisbona, ove si è indicato l’ambizioso obiettivo di portare l’Europa allo stesso livello competitivo degli Stati Uniti, cosa che, sul versante del diritto del lavoro, ha comportato la necessità di incrementare il tasso di occupazione europeo sino al traguardo del 70% per il 2010.
I due principali schieramenti politici italiani, pur manifestando visioni diverse, si sono comunque richiamati al fantomatico modello europeo e le politiche del lavoro da essi condotte hanno rappresentato la dimostrazione di un tentativo di collaborazione. È innegabile, infatti che fra le politiche del lavoro dei precedenti Governi di centro-sinistra e quelle del Governo Berlusconi vi siano stati numerosi tratti di continuità, testimoniati dal rilievo che ha avuto la figura di Marco Biagi, il quale, dopo aver collaborato con il ministro Treu all’epoca del governo D’Alema, ritenne possibile, senza tradire sé stesso, ripresentare molte di quelle idee all’attenzione del governo Berlusconi.
Il manifesto programmatico del governo è stato il <<Libro bianco sul mercato del lavoro>>, presentato dell’ottobre del 2001, nel quale si sosteneva la necessità di puntare, primariamente, sull’incremento del basso tasso di occupazione italiano, attraverso politiche tese a rendere più funzionale, dinamico e flessibile un mercato del lavoro ancora molto distante dagli obiettivi di Lisbona. Al fondo di tale strategia era indicata la necessità di spostare il baricentro del sistema dalla protezione del lavoratore <<nel rapporto di lavoro>> alla protezione <<nel mercato del lavoro>>.
Il programma del libro bianco è stato tradotto in numerosi provvedimenti legislativi, animati in generale da una ricerca di flessibilità e da una minore attenzione alla ricerca del consenso sindacale. Al riguardo merita una particolare attenzione il d.lgs. n. 276 del 2003 (<<legge Biagi>>), a cui si debbono una serie di riforme significative (es. ulteriore apertura ai privati nei servizi per l’impiego, norme tese a favorire le politiche di esternalizzazione, modificazioni della disciplina di alcuni contratti atipici (lavoro a tempo parziale e lavoro somministrato), introduzione di nuove tipologie contrattuali, modifica del contratto di apprendistato, introduzione del discusso contratto di collaborazione a progetto). Tale Decreto Biagi non sembra aver avuto un impatto stravolgente sull’andamento del mercato del lavoro, in quanto pare essersi limitato a determinare un’accentuazione ed un consolidamento di tendenze già presenti, come la riduzione del tasso di disoccupazione o l’incremento del tasso di occupazione.