Il principio di libertà sindacale, posto dall’art. 39 co. 1 (<<l’organizzazione sindacale è libera>>), viene proclamato anche da una serie di fonti internazionali (es. Dichiarazione dei diritti dell’uomo) e comunitarie (Carta di Nizza). L’importanza di tale principio, infatti, è evidente: in esso si è condensato il distacco dal’ordinamento corporativo del ventennio fascista, che, prevedendo il riconoscimento solo dei sindacati di <<sicura fede nazionale>>, era fondato su basi diametralmente opposte.

 L’art. 39 co. 1 riconosce la libertà di essere parte di un’organizzazione caratterizzata dal perseguimento di un fine di natura sindacale. Sebbene il titolare di tale libertà non sia specificato, non si dubita che, in primis, sia il lavoratore subordinato, dal momento che l’organizzazione <<sindacale>> (termine con il quale si definisce un atto o un’attività diretta all’autotutela di interessi connessi a relazioni giuridiche, nelle quali sia dedotta e svolta un’attività lavorativa) è storicamente caratteristica dei soli lavoratori subordinati. L’art. 39 co. 1, tuttavia, riconosce tale libertà anche ad alcune categorie di lavoratori autonomi, lasciando esclusi solamente gli imprenditori che, pur essendo liberi di associarsi sindacalmente (art. 18), non godono della garanzia <<rafforzata>> che scaturisce dall’art. 39 co. 1.

La libertà sindacale, essendo qualificata dal fine a cui tende, non è una libertà astratta, quanto piuttosto una libertà con un contenuto positivo. Il titolare di tale libertà, quindi, è preso in considerazione dalla norma soltanto se compie o partecipa ad un’attività funzionale a dar luogo ad un’organizzazione qualificata dall’attributo <<sindacale>>. Il concetto di <<organizzazione>> (collettività di persone unificate dal perseguimento di uno scopo comune) è più ampio di quello di <<associazione>>, che è soltanto la forma più strutturata e perfezionata di organizzazione, quindi, il sindacato è, al contempo, un’organizzazione e un’associazione. In definitiva la differenza tra questi due concetti sta nel fatto che:

  • la libertà dell’art. 18 viene meno quando l’associazione persegue fini vietati ai singoli dalla legge penale.
  • la libertà dell’art. 39 co. 1, al contrario, non può venir meno, dal momento che quello sindacale è, per definizione, un fine riconosciuto, per perseguire il quale la libertà di associarsi non può mai essere negata.

Tale libertà, garantita anche nel suo riflesso negativo (libertà di non organizzasi o associarsi), prevede, come ovvio corollario, la possibilità del pluralismo sindacale, stante il fatto che più organizzazioni possono coagularsi per i medesimi ambiti di riferimento.

 Il contenuto positivo della libertà sindacale, comunque, non si esaurisce nella libertà di associarsi e/o organizzarsi, bensì implica necessariamente anche la libertà di agire sindacalmente: non ci si organizza per essere, quanto piuttosto per perseguire gli scopi dell’organizzazione e/o dell’associazione. In particolare, quindi, dato che la principale attività del sindacato è la contrattazione collettiva, la libertà di organizzazione implica necessariamente anche la libertà di negoziazione collettiva.

La libertà sindacale, così intesa, partecipa ovviamente anche del classico contenuto <<negativo>> dei diritti di libertà, il quale opera in una duplice direzione:

  • come diritto soggettivo pubblico di libertà, ossia verso lo Stato e i suoi poteri.
  • come diritto di libertà nei rapporti tra privati, e quindi nei rapporti tra lavoratori e rispettive associazioni sindacali, da un lato, e datori di lavoro e rispettive associazioni sindacali, dall’altro.

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