La legge detta una disciplina limitativa anche per le perquisizioni del lavoratore e dei suoi effetti personali. Stante la maggiore incidenza sulla dignità della persona, è previsto, in via di principio, un divieto assoluto di visite personali di controllo. In via eccezionale, tali forme di controllo sono ammesse nei casi in cui siano “indispensabili” per tutelare “il patrimonio aziendale, in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei prodotti”. Tali ipotesi, e le modalità di effettuazione delle visite personali, devono, inoltre, essere preventivamente concordate con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in difetto di accordo, possono essere individuate dalla Direzione territoriale del lavoro.

In ogni caso, la legge prescrive condizioni inderogabili da rispettare, stabilendo che le visite, ove consentite, devono essere eseguite all’uscita dei luoghi di lavoro, con modalità tali da salvaguardare la dignità e la riservatezza del lavoratore, ed individuando le persone soggette alla perquisizione mediante sistemi di selezione automatica. La previsione eccezionale di perquisizioni personali è stata ritenuta costituzionalmente legittima proprio in considerazione dei limiti e delle garanzie che essa introduce a tutela del lavoratore.

Il lavoratore, peraltro, resta libero di rifiutare di sottoporsi anche alle visite personali di controllo lecitamente disposte dal datore di lavoro, ma si espone, in questo modo, a responsabilità disciplinare. Al datore di lavoro è vietato compiere, tramite medici di propria fiducia, gli accertamenti volti a verificare l’effettiva giustificazione delle assenze del lavoratore per malattia od infortunio. I controlli di tali assenze, devono, quindi, essere obbligatoriamente eseguiti, su richiesta dello stesso datore di lavoro, dalle istituzioni pubbliche competenti.

A queste ultime, il datore di lavoro può rivolgersi anche quando intenda far controllare la “idoneità fisica” del lavoratore, ossia la sussistenza non di una alterazione meramente temporanea dello stato di salute, bensì una situazione di sopravvenuta incapacità (definitiva o, quantomeno, di durata imprevedibile) allo svolgimento delle mansioni.

Purtroppo, l’inefficienza dell’organizzazione delle strutture pubbliche preposte è stata una delle cause della diffusione del fenomeno di “assenteismo”, che si è cercato di contrastare sia prevedendo l’obbligo di effettuazione della visita nello stesso giorno della richiesta inviata dal datore di lavoro, anche se coincidente con la domenica o altro giorno festivo, sia prevedendo l’obbligo del lavoratore, salvo giustificato motivo, di rispettare fasce orarie di reperibilità presso il proprio domicilio. Anche in questo caso, il lavoratore resta libero di rifiutare la visita, ma da ciò deriva un inadempimento contrattuale, oltreché la decadenza o la perdita parziale del trattamento economico spettante per la malattia.

Corollario necessario della libertà di opinione, è il divieto posto al datore di lavoro di effettuare indagini, sia ai fini dell’assunzione, sia nel corso del rapporto di lavoro, che abbiano ad oggetto opinioni politiche, religiose e sindacali del lavoratore, “nonché” fatti che non siano rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore. Per evitare, dunque, il rischio di discriminazioni, sono considerate comunque illecite le indagini che abbiano ad oggetto le opinioni in materia politica, religiosa e sindacale.

Una complessa problematica si pone in relazione alle cd. organizzazioni di tendenza. Per loro natura, tali organizzazioni devono poter riporre affidamento sulla adesione alla finalità che esse perseguono da parte dei propri dipendenti addetti allo svolgimento di funzioni rilevanti. In tale ipotesi, quindi, si dovrebbe ammettere una interpretazione adeguatrice del testo normativo, in quanto le opinioni del lavoratore assumono un diretto e comprensibile rilievo proprio ai fini della valutazione della idoneità del lavoratore a svolgere il ruolo che l’organizzazione ha necessità di ricoprire. Del resto, si ricava che il datore di lavoro ha facoltà di svolgere indagini su ogni fatto che incida sulla valutazione dell’attitudine professionale.

Nel rigoroso limite dell’incidenza su tale valutazione, quindi, le indagini sui fatti rilevanti possono estendersi anche alla vita privata del lavoratore. Ne offre conferma l’orientamento della giurisprudenza ordinaria, secondo il quale anche i comportamenti posti in essere dal lavoratore al di fuori del rapporto di lavoro possono configurare giusta causa di licenziamento ove siano tali da evidenziare l’inidoneità professionale del lavoratore stesso. Ne offre conferma, altresì, la giurisprudenza costituzionale, la quale, chiamata a giudicare di uno specifico divieto legale di indagini relativo alla sieropositività, ha ritenuto necessario che tale divieto non operi in relazione a determinate mansioni che possono esporre al rischio di contagio.

 

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